Il corpo radiografato.
Spazio, ultima frontiera.
24mo secolo d.C.
Nel romanzo “Star Trek Federazione” di Judith e Garfield Reeves Stevens, uno dei protagonisti, menzionando la placca di Burgess, afferma che nessuna delle razze aliene con le quali si è entrate in contatto è stata in grado di decodificarla. Molti membri della comunità scientifica hanno avanzato obiezioni sensate: il messaggio della placca sul Pioneer è antropocentrico, ad esempio la freccia che indica la traiettoria nello spazio della sonda è retaggio di una società di cacciatori-raccoglitori, senza significato per esseri viventi che potrebbero avere un’eredità culturale differente.
Nonostante questa e molte altre obiezioni, nel 1977 una commissione guidata da Carl Sagan della Cornell University inserisce nelle due sonde del programma Voyager due dischi per grammofono, sui quali sono incisi un gran numero di suoni naturali, una selezione musicale e di saluti di culture ed epoche diverse, un messaggio del presidente degli USA Jimmy Carter, e 115 fotografie, tra le quali quella di una donna che mostra una radiografia della sua mano: un’immagine lanciata avanti nel tempo, come quelle che 13.000 anni fa lasciavamo sulle pareti della Cuevas de las Manos, in Argentina.
Interferenze: qualche tempo fa ho dovuto fare una radiografia panoramica. Mi è tornato in mente il verso di non ricordo quale poeta, che scrisse “Madame, la vostra anima è un bellissimo panorama.”
Le immagini delle mani nella Cuevas de las Manos sono quasi tutte sinistre (cfr. l’errata anatomia della mano sinistra nella “Lezione di anatomia” di Rembrandt); chi ha lasciato la propria impronta teneva gli strumenti per spargere il colore con la destra. Dalle dimensioni sembrano mani di adolescenti, e ciò fa supporre un rito di passaggio all’età adulta. Impronte simili sono state trovate in Argentina, nel Borneo Indonesiano, nel Sahara, nel sud ovest degli USA, in Sardegna e in Sicilia. Possiamo immaginare: si appoggiava la mano alla parete della grotta, si soffiava la polvere colorata; parte restava lì, a testimoniare il passaggio; parte della polvere invece rimaneva sulla mano di chi aveva partecipato al rituale; una sorta di marchio agli occhi propri e delle altre; e ancora, era come portare con sé qualcosa del rituale, un segno tangibile di appartenenza ad un luogo.
Secondo James G. Frazer una delle modalità della magia nel mondo antico – tentativo da parte dell’essere umano di manipolare la realtà circostante – è che funzionasse secondo la legge di simpatia universale: due cose simili, oppure due cose che sono state a contatto, continuano ad avere un influsso reciproco anche dopo essere state separate (troppo facile immediatamente ricordare l’entanglement quantistico). Le pitture rupestri forse rientrano in questa categoria, a saldare un legame tra il segno lasciato nella caverna e la mano di chi lo ha lasciato. Senso di appartenenza, promessa o garanzia di ritorno. Secondo alcune è stata la mano e il suo pollice opponibile a segnare uno degli step fondamentali dell’evoluzione umana, cioè la capacità di costruire utensili. Allo stesso tempo, il pollice opponibile ha plasmato il cervello umano, aprendo cioè alla mente infinite possibilità di progettazione e rielaborazione dei manufatti.
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Cuevas de las Manos, Argentina, 13.000 anni fa.

Una delle fotografie nella Golden Record. A questo link la lista completa del contenuto.

Le orme di Laetoli, 3 milioni di anni fa, Tanzania. Le impronte sono state lasciate da tre individui che avanzavano cercando di mettere i piedi nell’orma già prodotta sul terreno dal capofila, rendendo così difficile distinguere la traccia originale. Poiché le tracce vanno tutte nella stessa direzione, è stato ipotizzato che i tre individui appartenessero ad uno stesso gruppo familiare che si recava alla sorgente, ma non c’è ovviamente conferma di questa ricostruzione. “In quel momento rimane impressa la singolarità dell’evento; quel piede, in un determinato momento, ha camminato su quella spiaggia. Ma al contempo rimane impressa anche l’immemoriale indeterminatezza che ogni orma è qualcosa che continua a rispondere della sua semplicità visiva. La visività delle immagini risulta così come un ponte che si riflette sull’aspetto paradigmatico dell’impronta, evidenzia ancora la presenza del contatto della luce sulla realtà e contemporaneamente quel contatto rende trasparente la sua definitiva perdita. E’ una sovrimpressione indefinibile di ciò che visivamente si presenta come ancora vivo e al tempo stesso già trapassato in modo definitivo.” (Riccardo Panattoni in “Black out dell’immagine. Saggio sulla fotografia e gli anacronismi dello sguardo”, 2013.)

L’immagine dell’impronta dello scarpone sulla superficie lunare è una delle più famose ed emblematiche dell’Apollo 11, la missione spaziale che cinquanta anni fa portò i primi esseri umani sulla Luna. Nell’immaginario collettivo quell’impronta è associata al piede di Neil Armstrong, il primo che calpestò il suolo lunare il 21 luglio 1969, anche se in realtà appartiene a Buzz Aldrin, che scese per secondo. Oltre a essere diventata uno dei simboli dell’impresa – pubblicata e ripubblicata, proposta e stampata sulle copertine di riviste, libri, gadget – l’impronta continua a esistere sulla Luna: gli scienziati sostengono che possa rimanere impressa sul polveroso suolo lunare per molti anni ancora. A questo link la lista di tutte le cose che abbiamo abbandonato sulla Luna in occasione delle varie missioni spaziali.

Regina Josè Galindo, “Chi può cancellare le impronte?“, Ciudad de Guatemala, 2003.

La Pale Blue Dot (che in italiano può essere resa come “tenue puntino azzurro”) è una fotografia del pianeta Terra scattata nel 1990 dalla sonda Voyager 1, quando si trovava a sei miliardi di chilometri di distanza, ben oltre l’orbita di Nettuno. L’idea di girare la fotocamera della sonda e scattare una foto della Terra dai confini del sistema solare è stata dell’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan. In seguito il nome della fotografia è stato usato da Sagan anche per il suo libro del 1994 Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space.
“Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni superstar, ogni comandante supremo, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi. La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.”
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Performance.
Estrarre l’eterno.
Mosche, traccia del volo, filo di rame.
Installazioni, 2021.
Presenza.
Performance & installazione
invisibile ed effimera, 2021.
Solitudine Larsen
Cuscini, coperte, materasso; forma di creta bianca, spezzata, con impronte di dita; cellulari in videochiamata l’uno con l’altro, a breve distanza, ed effetto Larsen.
Installazione, 2019.
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