Il corpo svuotato.

Il corpo svuotato.
Antico Egitto, 3150 – 30 a.C.

 

Dimenticare Platone, anche se ci scorre nelle vene. Immaginarsi alieni appena atterrati su questo pianeta, venuti a vedere di persona quello che la Placca di Burgess non è riuscita a dire – quello che non è stato possibile tradurre – osservare con occhi estranei le concezioni altrui sul corpo. E tuttavia sentire che là, a scavalcare quell’abisso di tempo, una parte profonda dell’essere umane ci accomuna. Talmente profonda da risultarci, appunto, aliena, nel senso latino del termine, altrui: eppure qualcosa risuona, è anche nostra.

 

La potenza metaforica del mito acceca la parte razionale, parla direttamente all’inconscio, oppure lava via le nostre sovrastrutture culturali. E’ la prova del nove di quanto siamo parlate dalla nostra cultura e dalla nostra storia personale, e di quanto i nostri occhi vadano alla ricerca di conferme di quel che già sappiamo, o meglio: di quello che vogliamo vedere, vogliamo raccontarci. E’ antropologia comparata, forse ancora di più: il punto di equilibrio abissale dove la nostra parte fisica entra in contatto con la trascendenza, punto per definizione geometrico (“punto è ciò che non ha parti”, Euclide), concetto primitivo adimensionale, ma che indica una posizione, una coordinata nello spazio, come sui cartelli degli aeroporti: voi siete qui. Dove siamo noi, dove sono io, in questo corpo, è una domanda che ogni cultura si è posta.

 

Per gli antichi egizi il corpo è il rifugio dell’anima del defunto nell’aldilà. Se un corpo resta intatto dopo la cessazione delle sue funzioni vitali, l’anima persiste. (Cfr. la Alcor e la Cryorus, che congelano corpi in attesa che nel futuro esistano le tecniche per risvegliarli e guarirli). Per mantenere integro un corpo, i sacerdoti estraggono gli organi interni, lo immergono in acqua salata per quaranta giorni, lo trattano con unguenti e spezie, lo avvolgono in bende di lino, lo custodiscono all’interno di un sarcofago: l’anima così evita la disgregazione.

 

La raffigurazione pittorica solo laterale e in postura eretta dei corpi è una semplificazione ad uso scolastico: gli antichi egizi hanno rappresentato corpi anche frontalmente, come nel caso delle suonatrici di flauto della tomba di Nebamon, oppure in posture acrobatiche, come per la danzatrice del frammento di pietra calcarea rinvenuto a ovest di Tebe. E’ una scelta che indica lo status sociale: corpi idealizzati (dei, faraoni, regine, sacerdoti, aristocratici) oppure realistici (contadini, servi, schiavi).

 

L’archetipo del conservare la salma del defunto è giunta fino ai giorni nostri: la cremazione è stata pratica sconsigliata dalla chiesa cattolica fino al 1963, in seguito ammessa solo se questa scelta non è conseguenza della negazione dei principi cristiani; oggi è ancora dogma, verità di fede, la resurrezione dei corpi: dopo il Giudizio Universale, l’anima si riunirà alla carne, in un corpo detto “glorioso”, incorruttibile, immortale, privo dei difetti che aveva nel mondo, non avrà bisogno di dormire, nutrirsi, curarsi, e potrà spostarsi istantaneamente da un luogo all’altro; viceversa, le anime dei dannati riavranno anch’esse il proprio corpo, con il quale proveranno fisicamente le pene che già provavano con l’anima.

 

Le danze primitive, all’analisi comparata con le popolazioni tribali di varie parti del mondo, sono suddivise in: convulse, tipiche delle civiltà sciamaniche, e prevedono stati ipnotici; semiconvulse, con il movimento circoscritto ad una parte del corpo (mani, ventre); armoniche o aperte, con slanci verso l’alto e in avanti, con calpestio ritmico; chiuse, che prevedono l’oscillazione del corpo, fermo in un punto spaziale; sedute, con movimento della parte superiore del corpo; vorticose, con significato astrale, cosmico, ad esempio quella dei dervisci; a torsione, con la ricerca dell’estasi nelle posture innaturali rispetto al normale assetto fisico.

 

Le danze primitive si dividono inoltre in: imitative, simboliche, figurative, quando il danzatore imita un altro essere vivente, un animale, di solito prima di cacciarlo; e danze non imitative, ovvero astratte, metaforiche. A latere dell’imitazione, il danzare può avere scopi magici o sociali ben precisi: la guarigione, la fertilità, l’iniziazione, il passaggio all’età adulta, l’unione di coppia, accompagnare un rito funebre, precedere o seguire la caccia o la guerra.

 

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Danzatrice di Tebe, ostrakon figurato con rappresentazione di una ballerina in posizione acrobatica, 1292–1076 a.C., pietra / calcare, pittura, 11,5 x 17 x 4 cm. Torino, Museo Egizio. (cfr le raffigurazioni della dea Maat, con il corpo ad arco a simboleggiare la volta celeste, ma con il ventre rivolto verso il basso)

 

Danzatrice di Cnosso, affresco della taurocatapsia; dipinto a secco su stucco, risalente ad un arco di tempo della civiltà minoica che va dal Medio Minoico III al Tardo Minoico B (XVII-XV secolo a.C.

 

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“A questi bambini dell’età da cinque a tredici anni è stato chiesto di descrivere l’interno del corpo umano, del loro corpo, con un disegno e con delle spiegazioni. I principali organi che appaiono più sovente sono il cuore e il cervello, fra i sistemi il più frequente è quello della circolazione sanguigna, lo scheletro invece è meno frequente e più tardivo come rappresentazione. Il sistema digestivo è rappresentato da tubi collegati con la bocca e le aperture di uscita in basso: il bambino sa che mangia qualcosa e poi, dopo un certo tempo, vengono fuori dal suo corpo i rifiuti organici. I polmoni sono situati spesso a caso e le ossa sparse qua e là per il corpo. Qualche bambina e qualche bambino che frequentano le scuole religiose hanno rappresentato il loro corpo con dentro un angioletto o un diavoletto. L’esperimento è stato condotto da un gruppo di psicologi dell’Università di Ginevra assieme a insegnanti svizzeri e italiani: Alberto Munari, Giusi Filippini, Mauro Regazzoni, Anne-Sylvie Visseur. Da Archives de Psychologie, Ginevra.” (Bruno Munari, “Fantasia”, 2006)

 

 

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Performance.

 

Danza Butoh Ma.
Selezione di immagini da video e polaroid.
Performance, 2022.

 

Una laboriosa leggerezza.
Galleria Moitre, Torino.
Performance, 2017.

 

Incontri digitali.
Performance online, 2017.
“La performance prevede la pubblicazione su un sito per incontri di un falso annuncio, che reclamizza robot dalle fattezze femminili, dotate di intelligenza artificiale.” […]

 

 

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Testi.

 

Recensione di “Essere una macchina” di Mark O’Connell, su Maremosso. (2022)

“La Alcor Life Extension Foundation ha sede a Scottsdale, in Arizona, ed è stata fondata da Fred e Linda Chamberlain. Il primo è – morto? ed è conservato in stato di animazione sospesa in una capsula criogenica; sua moglie invece è ancora membro attivo dello staff che studia come conservare corpi in attesa di poterli risvegliare e guarire, con la tecnologia futura, e come prolungare in modo indefinito l’esistenza umana. Davvero si può trovare un escamotage all’entropia? È possibile conservare in modo indefinito una certa quantità di informazione, che sia materia o connessioni neurali?”

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5 risposte a “Il corpo svuotato.”

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