Il corpo neurocognitivo.
Tyrell Corporation, Los Angeles, 2019.
Secondo Letizia Gioia Monda, la nostra body knowledge fa sì che gran parte di ciò che agiamo non sia pianificato, cioè non sia motivo di riflessione prima dell’azione. Allo stesso tempo, tutto ciò che facciamo (e siamo?) riflette il mondo in cui viviamo: l’attività corpo-mente, il suo funzionamento biomeccanico e riflessivo è plasmato dall’ambiente, e il mondo naturale, a sua volta, è modellato dai processi vitali che l’essere umano mette in atto al suo interno.
Se la coscienza è una conoscenza acquisita dall’esperienza (e sottoposta a pressioni e valvole di sfogo dalla cultura in cui è immersa), esperienza che mettiamo insieme interagendo con l’ambiente in cui viviamo, ogni azione si risolve, a livello percettivo, in un contributo per l’esperienza; tale contributo, a sua volta, acquista un significato in relazione alla coscienza percettiva esistente, arricchisce quel tipo di percezione di una consapevolezza relativa. Il sapere che ci sfugge, il sapere che viene illuso da questa facoltà cognitiva, è l’altra faccia della medaglia della coscienza, quella che ha a che fare con l’aspetto fenomenologico dell’esperienza, quello istintivo.
Il neuroscienziato Vilayanur Ramachandran ha individuato cinque caratteristiche fondanti del sé. L’impressione di continuità: un fil rouge che attraversa la nostra esistenza, dandoci il senso del passato, del presente e del futuro. La sensazione di coerenza e unità: percepire se stesse come esseri unici, nonostante la varietà dei ricordi, le esperienze sensoriali e i pensieri. La corporeità: il senso del possesso, e della padronanza, del proprio corpo, con i suoi confini e le sue appendici. La capacità di riflessione: il pensiero riflessivo, la consapevolezza del sé, l’autocoscienza.
Parallelamente, il neurochirurgo Benjamin Libet e il fisiologo Hans Kornhuber hanno dimostrato, negli anni ottanta, che gli eventi cerebrali si verificano quasi un secondo prima che nel soggetto si accenda la volontà di azione, o meglio la percezione di essa; l’attività delle aree del polo frontale del cervello precede la consapevolezza, e la convinzione, di aver preso quella specifica decisione.
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Uno studio condotto dal National Accademy of Science su 700 partecipanti ha valutato le emissioni di calore in base alle emozioni vissute dal soggetto. Si è potuto notare che le reazioni forti come la felicità e l’amore pervadono interamente il nostro corpo, stimolando la circolazione del sangue, andando ad attivare in maniera omogenea i nostri organi e mantenendo vitali anche le zone più estreme del nostro corpo. Al contrario le emissioni di calore si abbassano se si vivono stati di tristezza e depressione. Interessante notare che sentimenti “negativi”, come la rabbia, attivino in maniera importante la nostra produzione di calore.

L’homunculus è una rappresentazione dell’essere umano partendo dall’assegnazione delle aree motorie e somatosensoriali della corteccia cerebrale umana alle parti del corpo in quanto espressione dell’architettura funzionale della corteccia cerebrale. Fu descritta per la prima volta nel 1950 da Penfield e Rasmussen, che fecero una distinzione tra homunculus motorio e homunculus sensitivo. L’homunculus motorio è collocabile nella corteccia motoria primaria e rappresenta quelle che sono le priorità del nostro corpo nei movimenti. Le labbra, la lingua e le mani appaiono enormi, poiché sono presenti più neuroni dedicati al controllo fine di queste parti, mentre il tronco e gli arti appaiono più piccoli. L’homunculus sensitivo rappresenta invece la corteccia somatosensoriale, coinvolta nella sensibilità tattile, della temperatura e del dolore. Segue un criterio controlaterale, poiché la porzione nell’emisfero cerebrale sinistro controlla la parte destra del corpo, e viceversa. In questo contesto le proporzioni umane vengono ridefinite sulla base dell’area occupata di corteccia cerebrale. E, secondo questa alquanto “bizzarra” rappresentazione, la mano e la bocca occuperebbero addirittura più della metà di tale area cerebrale.

Con l’acronimo inglese CAPTCHA si denota nell’ambito dell’informatica un test fatto di una o più domande e risposte per determinare se l’utente sia un umano e non un computer o, più precisamente, un bot. L’acronimo, che si pretende derivato dall’inglese “Completely Automated Public Turing-test-to-tell Computers and Humans Apart” (“test di Turing pubblico e completamente automatico per distinguere computer e umani”), in effetti riproduce foneticamente l’espressione colloquiale “Caught you!” (Ti ho beccato!). Il termine è stato coniato nel 2000 da Luis von Ahn, Manuel Blum e Nicholas J. Hopper della Università Carnegie Mellon e da John Langford della IBM.

“The idea behind the Reverse Turing Test is that instead of thinking about the ways in which machines can be human-like we should also think about the ways in which humans can be machine-like. This requires us to reverse our perspective on the Turing Line. We need to start thinking about the properties and attributes we associate with machines and see how human beings might express those properties and attributes in particular environments. When we do all this, we acquire a new perspective on our current techno-social reality. We begin to see the ways in which technologies and social philosophies might encourage humans to be more machine-like. This might be a good thing in some respects, but it might also contribute to a culture of dehumanisation.”
Da Brett M. Frischmann, “Human-Focused Turing Tests: A Framework for Judging Nudging and Techno-Social Engineering of Human Beings”, Cardozo Legal Studies Research Paper No. 441, 58 Pages, 22 Jan 2020. Brett M. Frischmann


Nel film Blade Runner (1982), il Voight-Kampff è descritto come “una forma molto avanzata di macchina della verità che misura le contrazioni del muscolo dell’iride e la presenza di particelle invisibili che fluttuano nell’aria e provengono dal corpo. I soffietti erano progettati per quest’ultima funzione e per conferire alla macchina l’aspetto minaccioso di un sinistro insetto. Il VK viene utilizzato principalmente dai Blade Runners per determinare se un sospetto è veramente umano misurando il grado della sua risposta empatica attraverso domande e dichiarazioni accuratamente elaborate.”
Dalla cartella stampa originale del film Blade Runner .
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Performance.
Intenzioni.
Sasso carta forbice da solo.
Performance, 2023.
Stati della materia – 1
Proiettore, letto, corpo addormentato.
Performance, 2023.
Teoria dell’informazione.
Schermo, pennarello, messaggio, busta.
Performance, 2022.
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Testi
Germana Pareti.
Percezione, spazio e azioni.
Le neuroscienze e le suggestioni dei filosofi.
Rivista di estetica, numero 52 / 2013
“A partire dal saggio fondamentale di Thomas Nagel del 1971, l’idea della coscienza è stata invariabilmente associata a quella della sua unitarietà, e che il substrato cerebrale non possa esser diviso, pena la menomazione della coscienza stessa, resta tuttora uno dei capisaldi della neuroscienza. Nondimeno, negli ultimi anni, l’idea dell’unità della coscienza si è sfaccettata in quella di un’entità integrata, alla definizione della quale concorrono le interazioni sussistenti tra i suoi elementi. Uno dei filoni più promettenti si propone di individuare i complessi cui possono metter capo tutti i possibili sottoinsiemi di elementi che costituiscono un’entità, misurando poi l’informazione effettiva che viene integrata al suo interno. In questo senso, l’analisi dei complessi si configura come un modo naturale di scomporre un insieme, e il correlato neurale della coscienza si presenta nei termini di un’entità integrata capace di differenziare tra un numero straordinariamente grande di stati diversi, di cui è possibile misurare la complessità, cioè stabilire in quanti modi diversi gli elementi di una metà del sistema possano rispondere agli ingressi provenienti dall’altra metà. Di qui l’idea che la coscienza sia complessità e che questa, a sua volta, denoti integrazione di informazione.”
Benjamin N. Cardozo
School of Law · Yeshiva University
Jacob Burns Institute for Advanced Legal Studies
September, 2014
Faculty Research Paper No. 441
Human-Focused Turing Tests: A Framework for
Judging Nudging and Techno-Social Engineering
of Human Beings
Brett M. Frischmann
Professor of Law & Director
Cardozo Intellectual
Property and Information Law Program
Benjamin N. Cardozo School of Law
Matteo Ianeselli
Ex Software Engineer (2017–2019)
“Il test Voight-Kampff misura due aspetti diversi: un primo aspetto è di basso livello, ed è la mera coerenza tra loro delle reazioni emotive alla domanda. Parametri come dilatazione della pupilla, ritmo cardiaco, arrossamenti della pelle, gesti, ecc. devono risultare coerenti tra di loro e con la risposta data verbalmente — e questi sono parametri misurabili oggettivamente e valutabili direi anche automaticamente. Ma ciò misura solo il grado di accuratezza nel simulare una risposta emotiva coerente. L’idea è che replicanti poco sofisticati si facciano scoprire per via di incoerenze nei segnali che danno in risposta; ma il secondo aspetto è ad alto livello, ed è la congruenza della risposta emotiva in sé rispetto a quanto ci si attende da un “vero” essere umano: la situazione che dovrebbe stimolare una risposta emotiva va innanzitutto compresa da chi è sottposto al test per poterla riconoscere e per poter quindi produrre una risposta appropriata — e per la sterminata varietà di situazioni che è possibile formulare come domanda, ciò finisce col richiedere una IA generica vera e propria. L’idea di fondo è che i replicanti non abbiano abbastanza esperienza di vita (o non siano sufficientemente sofisticati) nel riconoscere sempre le situazioni che indurrebbero disagio in un essere umano. E in questo aspetto direi che pertanto si tratta di un test di Turing vero e proprio, anche se dall’ambito più ristretto: non importa chi o cosa somministri le domande — ma invece importa che le domande siano state formulate da umani che sappiano quali sono le risposte emotive attese da un umano. Una macchina può somministrare le domande e valutare le reazioni, ma non può formularle in maniera efficace, salvo essere una IA generica a sua volta. E a mano a mano che vengono prodotti replicanti sempre più sofisticati, anche le domande devono essere via via più sofisticate (e non possono essere sempre le stesse… occorre prepararne via via di nuove). A sostegno di questa ipotesi direi che basta osservare bene quando il test viene somministrato a Rachel: essa inizia fornendo risposte emotive corrette e coerenti, ma sull’ultima domanda fallisce totalmente nel riconoscere la situazione di disagio descritta (un cane bollito servito per cena, che almeno nella cultura occidentale è cosa totalmente disgustosa) e rimane impassibile in attesa di ulteriori elementi per valutare la situazione. È questo passo falso che la rivela essere un replicante — molto sofisticato ma non a sufficienza (o meglio: che non ha un bagaglio di esperienze sufficiente a spacciarsi sempre per umano). Nel film non si evidenzia con certezza chi prepara le domande del test Voight-Kampff: si sa solo che Deckard le somministra ad altri e valuta le reazioni rispetto a quelle attese. E peraltro, se anche nel film c’è la premessa che i replicanti non sono vere IA generiche (quantomeno non umane), non si esclude che lo possano diventare col tempo (col limite principale che è la loro vita troppo breve).”
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