Il corpo disneyano.
Topolinia, XVI secolo d.C.
Secondo Matteo Maculotti, che riprende un’interpretazione di Stephen Jay Gould, il fascino di Topolino sta nella natura neotenica del suo corpo. Il concetto di neotenia (dal greco antico νέος “nuovo, giovane” e τείνω “tendo”) deriva dalla biologia dello sviluppo: è la conservazione, negli adulti di una data specie, di caratteristiche fisiologiche e morfologiche proprie del periodo fetale; l’esemplare di una specie neotenica viene al mondo fortemente immaturo e conserva per tutta la sua vita tratti primari fetali. A differenza di altre specie, che nascono con capacità già innate (il ragno che sa tessere la tela senza che gli venga insegnato), l’essere umano, al contrario, deve apprendere, ma ha la capacità di creare nuovi adattamenti all’ambiente e nuovi comportamenti.
La natura neotenica del corpo di Topolino, nell’accezione di Gould, sarebbe quella di saper innescare nello spettatore potenti risposte emotive inconsce. Prima e più profondamente di qualsiasi richiamo ideologico o identitario, le suggestioni dei cartoni animati del primissimo Topolino (ma anche la serie delle Silly Symphonies) fanno appello a una comune matrice biologica, evocano quella zona dell’intimo profondo e primitivo che Sergej Michajlovic Ejzenstejn riconobbe come luogo della genesi disneyana, quello che ci vede tutti creature figlie della natura.
La causa profonda dell’attrazione dei cartoni animati della Disney risiederebbe quindi nella capacità di innescare una regressione filogenetica inconscia nello spettatore, riconducibile alle facoltà metamorfiche e alla plasmaticità dei protagonisti di un mondo “uscito dal sé”: Ejzenstejn ricorda ad esempio la locomotiva che divora i ceppi di legna come pasticcini (Mickey’s Choo-Choo 1929) gli hot-dog che ricevono una sculacciata dopo che si è loro abbassata la pelle in punti strategici (The Karnival Kid, 1929) e le tastiere dei pianoforti i cui tasti canini azzannano il pianista (The Jazz Fool, 1929), ovvero tre gag che mostrano un processo di antropomorfizzazione correlato alla messa in scena umoristica di parti del corpo umano, in parallelo all’attribuzione animistica di reazioni ed emozioni agli oggetti inanimati.
Osservazioni analoghe si trovano nei saggi di Walter Benjamin dedicati a Mickey Mouse, dove l’accento è posto soprattutto su un aspetto trascurato da Ejzenstejn: il ruolo della tecnica all’interno di questi giochi metamorfici. Benjamin osservò che le meraviglie del mondo disneyano non solo superano quelle della tecnologia, ma si prendono gioco di essa. Poiché tutte insieme scaturiscono senza macchinari, in modo improvvisato, dal corpo di Mickey Mouse, da quello dei suoi sostenitori o persecutori, dai più banali pezzi d’arredamento, da un albero, dalle nuvole o dal mare.
Natura e comfort, primitività e tecnologia, diventano una cosa sola: davanti agli occhi della gente appare un’esistenza in cui un’automobile non pesa più di un cappello di paglia. Il corpo di Topolino rappresenta in questo senso la sintesi più compiuta tra il mondo della biologia e quello della tecnologia, e queste due componenti coesistono in ogni momento rendendo impossibile definire i confini che separano il topo dall’essere antropomorfo dall’automa.
Il fascino della piccola e versatile creatura animata, osserva la storica del cinema Miriam Bratu Hansen in Cinema and Experience (2011) riguarda la sua condizione ibrida, in cui umano e animale, bidimensionale e tridimensionale, corporeo e meccanico si confondono. Considerazioni simili sono state sviluppate anche da Fritz Moellenhoff in ambito psicoanalitico, sui caratteri regressivi e polimorfi di Mickey, e in tempi più recenti hanno ispirato ulteriori letture sulla sua identità post-umana e sulle questioni di genere.
Riprendendo l’analisi di Ejzenstejn, si può constatare nel corpo di Topolino la tendenza a uscire da sé, la sua facoltà metamorfica invisibile in termini di effetti, ma intrinseca in ogni suo movimento. Il corpo di Topolino è compatto e aerodinamico, si allunga, si scompone e si ricompone con effetti surreali talvolta esagerati. Già nelle animazioni del 1929 la sua rotondità dà l’impressione di una precisa consistenza gommosa che rende i suoi movimenti tangibili, non astratti bensì vivi.
Lo stesso Ejzenstejn aggiunge che a restare impresso nella memoria è soprattutto “un dato esteriore che potrebbe sembrare puramente formale: Topolino sta cantando, le dita intrecciate. Le mani fanno da coro alla musica. Come se nei movimenti dei personaggi si realizzasse la seconda voce delle melodie. Con quanta grazia quelle quattro dita delle due mani, mentre Topolino suona la chitarra hawaiana, si trasformano improvvisamente in membra! Ormai non sono più mani, ma due omini bianchi che danzano insieme sulle corde della chitarra.”
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Walt Disney, The Mad Doctor, 1933.


Looney Tunes, The Ducktators, 1942.



Walt Disney, Thru the mirror, 1936.


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