Il corpo doppio.
Il monumento e il suo doppio.
Andrea Pinotti, in
AAVV, “Quando è scultura”, 2010.

Piero Manzoni, Base del mondo, Herning, 1961.
Secondo Andrea Pinotti l’immagine nasce con l’esperienza della morte e la sua presa di coscienza da parte dell’essere umano: renderci conto che il nostro corpo è destinato alla decandenza, alla decomposizione e alla sparizione ci ha portate a cercare un antidoto che ponga rimedio a questa nullificazione, istituendone un’immagine duratura: iconica e tanatologia si appartengono reciprocamente.
Anche l’etimologia offre indicazioni sulla relazione tra mortalità e iconografia: l’idolo greco, l’eidolon, è solo in epoca più tarda immagine, ma definisce innanzitutto lo spettro, il fantasma; il simulacrum latino è lo spettro; imago è il calco in cera del volto del defunto; funus imaginarium, nel II secolo, era il funerale di un’immagine quando il corpo del defunto non era disponibile. Louis Marin estende la nozione di rappresentazione all’implicazione di presenza e assenza dell’immagine e delle sue funzioni:
“Che cos’è rap-presentare, se non presentare nuovamente nelle modalità del tempo o al posto di? Il prefisso ra- introduce nel termine il valore di sostituzione, qualcosa che era presente e non lo è più, ed è ora rap-presentato. Al posto di qualcosa che è presente altrove, ecco vi è un assente nel tempo o nello spazio o piuttosto un altro, e si efefttua una sostituzione di un altro di quest’altro, al suo posto.”
Considerata questa relazione tra immagine e morte, si comprende bene il ruolo della tomba (sema) come primo segno (semeion) del corpo (soma), parallelo che anche Platone cita nel Cratilo:
“Alcuni dicono che il corpo (soma) sia come una tomba (sema) dell’anima, come se essa vi fosse sepolta nella vita presente. […] L’anima significa (semanein) ciò che vuol significare, anche per questa ragione è giustamente chiamato segno (sema).”
Il ceppo funerario, la stele sepolcrale piantata nel terreno, come semplice segno verticale, imposto sull’orizzontalità della terra, per dire: qui è ancora, e per sempre, presente colui che non è più presente, e non lo sarà mai più. Questo è allo stesso tempo il grado zero della monumentalità, di quel gesto del monere, precipitato in un segno materiale che ricorda e ammonisce, creando un ponte tra passato e futuro.
In “Figure del corpo”, Jacques Fontanille parla dell’involucro, cioè di quella figura sensibile del corpo che, come una pellicola, oppure come una membrana, separa e mette in comunicazione il me e il mondo per me. Assicura la coesione del Me, combattendo eventuali tensioni dispersive; riunisce le parti del Me, procurando loro una forma (e una gerarchia?) globale; come vera e propria superficie di iscrizione, conserva traccia degli eventi interni ed esterni. (Cfr. Didier Anzieu e l’io-pelle).
Per Fontanille il Me-carne si pone come istanza di referenza, come identità postulata capace di mettersi in variazione, sorgente del senso di motricità, che determina ogni mira e ogni prensione semiotica. Deleuze, nel suo “Francis Bacon. Logica della sensazione”, distingue tra le ossa, che identificano la struttura materiale del corpo, e la carne, intesa invece come materiale corporale della figura. Per Deleuze il corpo, che è figura e non struttura, si manifesta infatti quando la carne smette di ricoprire le ossa e quando queste perdono la loro funzione di sostegno.
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Hans Bellmer, La poupée. “Le giunture della realtà e del corpo sono ricombinate, ricollocate. I corpi vengono scomposti, ridefiniti. Il senso che assume la materia vivente veicola il desiderio di trasformazione della realtà e tale desiderio mette in discussione la presa sociale sul corporeo. Il corpo perde infatti la sua coerenza organica e diventa il luogo dove si concepiscono aperture inconfessabili, pose e gesti inediti, ma anche nuove dinamiche di feticizzazione. Bellmer inventa nuovi corpi, nuovi rapporti, e lo fa sfidando la contingenza delle leggi di natura e dando corpo all’impossibile.”

“Dal loro debutto, nel 1997, le RealDoll sono entrate nell’immaginario collettivo: bambole iperrealistiche a grandezza naturale, con capacità di movimento e soprattutto personalità; a partire dal 2017 ha debuttato sul mercato Harmony, il primo modello-robot dotato di software di intelligenza artificiale. […] Quanto alle sue funzioni sessuali, la sua pelle è riscaldata fino a raggiungere la temperatura di quella umana ed è disseminata di sensori, che le permettono di sapere dove viene toccata e di reagire di conseguenza fino a raggiungere l’orgasmo, piuttosto realistico grazie alle contrazioni della sua vagina artificiale. Nel 2018 apre il primo bordello clandestino, con indirizzo segreto, a Parigi.”

Otto Muehl, Senza titolo (Azione), anni 1970.

Günter Brus, ‘Silber / Silver, Photo: Siegfried Klein (Khasaq),’ 1964.

Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin.

Aziz+Cucher (Anthony Aziz e Samuel Cucher).

Yasumasa Morimura, as Rrose Selavy.

Marcel Duchamp, as Rrose Selavy.

Robert Wilson – Johnny Depp, 2006.
Filmstill, Dissident Industries Inc.

John Frusciante, Niandra LaDes, cover dell’album.

Jana Sterback.
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“E mentre ogni giorno milioni di occidentali si dirigono verso cliniche dove trasformano se stessi, appianano le rughe, partoriscono fuori tempo massimo, annientano il dolore con cure sempre più efficaci, cambiano anatomia, coltivano corpi allenati dal fitness, modificati dai regimi alimentari, emancipati dai dati anagrafici, altri corpi smettono di esistere dalla scena, raggruppati in categorie che li relega a gruppi omogenei: poveri, migranti, disoccupati… Si gioca sul destino dei corpi l’ennesima divisione del mondo: da un lato corpi logorati, mutilati dalle guerre, dal tempo e dalle malattie, dall’altro fisici fiammanti, nutriti da farmaci e cosmetici, riparati da organi altrui. Una metamorfosi, per l’Occidente, ben più profonda di quello che appare, un cambio che indicherà nella storia un nuovo prima e dopo: a.C. e d.C.: avanti Corpo e dopo Corpo.”
– F.A.Miglietti, “Identità mutanti”, Shake Edizioni.
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Performance
Ad ogni deriva.
“Ad ogni deriva involontaria ci sono poli attrattivi che vogliono riportarci sulla retta via, e li chiamiamo riferimenti geografici, perché ci siamo persi. Ad ogni deriva volontaria ci sono poli attrattivi che vogliono riportarci a casa, e li chiamiamo sensi di colpa, perché abbiamo paura. Alcuni di questi poli attrattivi esistono da molto tempo, cambiano lentamente così che abbracciano l’intera durata delle nostre vite, li consideriamo stabili dati per sempre, sono montagne, laghi, promontori, città se abbiamo la fortuna di non vedere guerre che le cancellano. Alcuni di questi poli attrattivi sono convenzioni sociali, più o meno condivise da più o meno persone, e sono “hic sunt leones” sulle zone incomplete delle mappe antiche, confini, dogane, “Chi siete, cosa portate, un fiorino.” A questa seconda categoria di punti di riferimento appartengono i poli dell’inaccessibilità.” […]
Something happens.
Performance, 2018.
Rossella Ferrero ph.
Vincenzo Bruno ph.
La distanza con la quale ci misuriamo.
Metro a nastro. Luoghi di Torino.
Performance & installazione effimera, 2021.
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