Il corpo nella caverna.

Il corpo nella caverna.

 

Secondo Lucilla Albano, autrice del saggio “Fantasie del cinema prima del cinema” (2003), quando si affronta la questione dell’archeologia del cinema le studiose si dividono in due categorie: quelle interessate a risalire indietro nel tempo, alla ricerca dell’eterno cinematografico dell’animo umano, e quelle ostili a dare valore agli antecedenti protostorici oppure a raccogliere sotto un comune denominatore miti, leggende, credenze e forme di rappresentazione e di spettacolo: i dipinti delle grotte di Lascaux, il mito della caverna, le ombre cinesi e la lanterna magica, i panorami e i diorami, il Mondo Nuovo e lo zootropio.

 

Tuttavia, è innegabile che la nascita della macchina che produce immagini in movimento è il punto finale di una lunga strada, tortuosa e piena di deviazioni, sovrapposizioni e coincidenze, che hanno visto come protagonisti inventori, scienziati, ciarlatani, ambulanti, maghi e bricoleurs, dal teatro d’ombre agli esperimenti di Leonardo da Vinci sulla camera oscura, fino al magmatico coacervo di invenzioni, brevetti, macchine magiche dai nomi curiosi: prassinoscopio, cronofotografo, fenachistoscopio, bioscopio, kinetografo, phonoscope, tutti antecedenti del Cinematographe dei fratelli Lumière, presentato per la prima volta il 28 dicembre 1895 presso il Grand Café Boulevard des Capucines a Parigi.

 

A contendere il primato dei fratelli Lumière ci sono gli americani Thomas Alva Edison e William K.L.Dickson, l’inglese William F.Green, il tedesco Max Skladanowsky, l’italiano Filoteo Alberini e il francese George Demeny. L’idea del cinema era nell’aria; anzi, secondo Lucilla Albano, nei desideri e nei sogni di tutti gli esseri umani, da moltissimo tempo, e solo un ritardo scientifico ne ha posticipato la materializzazione tecnica.

 

La prima tappa da cui partire per questo viaggio a ritroso è il mito della caverna di Platone, anche se quella del filosofo è in realtà una sintesi di esperienze antecedenti, come d’altronde lo sono tutti i miti. Baudry suggerisce le ombre cinesi, Morin parla dei giochi d’ombre del Wayang e del culto greco dei misteri, praticato originariamente nelle caverne e accompagnato da rappresentazione di ombre.

 

Platone, nel racconto che fa Socrate a Glaucone nel VII libro della Repubblica, riproduce la situazione del dispositivo cinematografico: la caverna è la sala buia, i prigionieri sono gli spettatori, incatenati alle loro poltrone, e le ombre che passano sulla parete hanno la stessa natura delle immagini che scorrono sullo schermo.

 

Franco Furnari, ne “La riscoperta dell’anima” (1984) ha interpretato la caverna come simbolo del grembo materno, i prigionieri come gli esseri umani non ancora nati, le catene come il cordone ombelicale: la caverna platonica è la realtà intrauterina, dove il feto sogna all’interno del grembo materno (cfr. nel film Matrix gli essseri umani intrappolati ed eternamente sognanti in uteri artificiali).

 

Ritroviamo quindi l’archetipo del cinema: il desiderio di ritornare al luogo originario, alla fusione tra l’io e l’altro, quello stato onirico in cui, come afferma Baudry, non c’è alcuna differenza tra percezione e rappresentazione. Nel culto dei misteri orfici, antecedente al mito di Platone, lo specchio ha valore simbolico di schermo: Dioniso, guardandosi allo specchio, non vede se stesso, bensì il mondo. Dunque questo mondo non ha realtà in sé, bensì è solo la visione del dio, come scrive Colli in “La nascita della filosofia” (1975) (e cfr. il personaggio del Corinzio in “Sandman” di Neil Gaiman, che vuole impossessarsi degli occhi altrui per vedere la realtà appunto dal punto di vista degli altri – fino a desiderare di possedere gli occhi di un dio, per vedere attraverso di essi il mondo).

 

Alla fine del Settecento, durante la Rivoluzione Francese, il fisico e illusionista Robertson ottiene un grande successo di pubblico, con le sue rappresentazioni fantasmagoriche, realizzate attraverso una lanterna magica munita di ruote, chiamata fantascopio. Tenne le sue prime rappresentazioni in appartamento, poi si trasferì nell’ex convento delle Cappuccine dove, come ci racconta George Sadoul, “il salone degli spettacoli era una cappella a cui si arrivava attraverso corridoi misteriosi e chiostri in rovina, fino a trovarsi davanti ad una porta ricoperta di geroglifici, che dava accesso ad un ambiente tetro, parato a lutto, debolmente illuminato con una lampada da sepolcro. Compariva allora Robertson e cominciava ad evocare fantasmi.”

 

In quell’interregno che i manuali di psichiatria pongono tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, il cinema è invece prefigurato nelle allucinazioni degli schizofrenici e dei paranoici, nelle visioni deliranti della cosiddetta macchina influenzante, descritta da Victor Tausk nel 1919, ma già nota nell’Ottocento e studiata dallo psichiatra Pierre Janet. La macchina influenzante è una sorta di macchinario magico, dal quale i malati mentali avevano l’illusione di essere influenzati oppure perseguitati. Nella sua forma tipica aveva le caratteristiche di una macchina complicata, i cui ingranaggi e il funzionamento erano incomprensibili allo stesso malato; ad un certo stadio dello sviluppo del sintomo, la macchina influenzante veniva descritta come una lanterna magica o un cinematografo.

 

Il cinema, quindi, come punto finale di una lunga catena di idee, spettacoli, situazioni magiche, religiose o fantastiche, sviluppo della ricerca ottica, chimica e fisica, dall’allucinazione liberatrice dei misteri orfici alla macchina influenzante di Tausk, dai divinatori dei misteri e degli oracoli di Apollo agli schizofrenici del ventesimo secolo: il cinema si prefigura come la soluzione di un enigma, la formulazione di un’impossibilità razionale, quella di riprodurre la realtà in modo tale che sembri la realtà stessa.

 

”Le primitive credenze relative alle opposizioni tra animato e inanimato, tra mortalità e al di là della morte, non sono mai state dimenticate e tanto meno rimosse lungo l’evoluzione individuale da bambino ad adulto, come non lo sono state lungo l’evoluzione sociale dalla magia animistica alla civiltà scientifica; sono state piuttosto superate” scrive Francesco Orlando, in riferimento alle teorie freudiane sul Perturbante. Il cinema è dunque il ritorno del superato, già tutto definito tra lo stadio archetipico del mito della caverna e lo stadio regressivo della macchina influenzante: è la faccia magica, arcaica e primitiva di un dispositivo che mette in luce, davanti ai suoi spettatori, solo la faccia delle meraviglie moderne e tecnologiche.

 

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Zootropio.

 


Fenachistoscopio.

 


Robertson evoca i fantasmi con il suo fantascopio.

 


Ombre Wayang.

 


Ombre cinesi.

 


Un frame del videoclip “Pena de l’alma” di Vinicio Capossela.

 


Il Corinzio dalla serie a fumetti “Sandman”, di Neil Gaiman.

 


Boyd Holbrook nei panni del Corinzio nell’episodio 102 di “Sandman”, serie Netflix.

 

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Performance.

 

Dare a vedere.
Sagoma di automobile (masonite, acrilico).
Performance urbana, 2019.

 

Il silenzio parlato dalle cose.
Corpo, griglie di metallo.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2022.

 

Sé stessi (voce del verbo stare).
Performance digitale, 2020.

 

Amore muto.
Corpo, cornice.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2021.

 

Prove tecniche di crocifissione allo sguardo altrui.
Corpo, pennarello nero, assi di legno.
Performance, 2022.

 

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8 risposte a “Il corpo nella caverna.”

  1. […] organi. / 1996 d.C – Il corpo scalare. / 1999 d.C. – Il corpo nascosto. / 2003 d.C. – Il corpo nella caverna. / 2003 d.C. – Il corpo profanato. / 2005 d.C. – Il corpo ibernato. / 2007 d. C. – Il corpo […]

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  4. […] Il corpo scalare. 1999 d.C. – Il corpo nascosto. 2001 d.C. – Il corpo elevato. 2003 d.C. – Il corpo nella caverna. 2003 d.C. – Il corpo profanato. 2005 d.C. – Il corpo ibernato. 2007 d. C. – Il corpo taurino. […]

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