Il corpo disassemblato.
Gotham City, 2008.
“RoboCop” di José Padilha (2008), reboot dell’omonimo film di Paul Verhoeven del 1987, affronta esplicitamente tematiche legate all’intelligenza artificiale, ma è attinente anche a questioni legate al corpo, che spiccano in almeno due momenti molto significativi.
Nel primo, Alex Murphy (il poliziotto resuscitato in un corpo meccanico) scopre quanto è rimasto di organico di se stesso. Pretende di vedere che cosa esiste ancora di lui, e assiste allo specchio al disassemblaggio delle sue parti meccaniche, in una sorta di reverse engineering, quella che precedentemente lo ha portato alla sua rinascita in una macchina. Uno dei leitmotiv della sceneggiatura è quello della volontà: chi è “in charge” nelle decisioni che l’uomo-macchina Alex Murphy prende, quanto i suoi potenziamenti lo rendano meno umano, se sia giusto o meno controllare digitalmente e chimicamente le sue emozioni per renderlo più efficace nello svolgimento del suo compito di poliziotto.





Alex Murphy: “Holy Christ, holy Christ, there’s nothing left…”

Dr. Dennett Norton: “Your body may have gone, but you’re still here…”

Alex Murphy: “If I’m in control, then I want to die.”

Alex Murphy: “Just unplug whatever it is keeping me alive and end this nightmare.”
La seconda sequenza che rimanda a questioni del corpo è quella di Michael Keaton, che interpreta il leader senza scrupoli della OmniCorp. Alle sue spalle, alla parete del suo ufficio, sono appese tre opere di Francis Bacon, il Trittico ispirato all’Orestea di Eschilo.


Di quest’opera di Bacon Marie Rebecchi ha scritto, in occasione della mostra dedicata al pittore al Centre Pompidou di Parigi, nel 2020, in “L’immacolata brutalità delle cose – au pied de la lettre”: “La sanguinosa deformazione dei corpi è ricomposta e tamponata all’interno del sistema di griglie che la inquadra.”

In “Logica della sensazione”, saggio di Deleuze sulla pittura di Bacon, il filosofo pone l’accento su una tecnica a cui il pittore ricorre: dipingere le teste invece dei volti. I personaggi di Bacon non hanno lineamenti chiari e riconoscibili, sono una domanda all’identità, non permettono di decifrarne lo stato d’animo. Sono teste contratte e dilatate, che gridano o si contorcono fino a raggiungere tratti animali. Deleuze sostiene che le teste di Bacon entrino in una zona d’indiscernibilità tra l’uomo e l’animale, abbandonando la forma umana e razionale per diventare corpo senziente. La tela di fronte a cui un pittore si pone, ci avverte Deleuze, non è mai bianca, ma ingombra di stereotipi sul corpo e sull’identità. Bacon procede allora ad eliminare questi cliché per far cogliere la sensazione pura, che colpisce il sistema nervoso dello spettatore senza permettergli alcuna interpretazione e liberandolo così dai suoi preconcetti.
Francis Bacon era però già stato citato, in un precedente film di Tim Burton del 1989, “The Batman”. Il Joker interpretato da Jack Nicholson, sulle note di Party Man di Prince, insieme ai suoi scagnozzi distrugge le opere del Flugelheim Museum di Gotham City: dalla statuetta egizia alle ballerine di Degas, dai busti romani ai quadri di Vermeer, Van Dyck e Rembrandt, nessuna raffigurazione umana di nessun secolo viene risparmiata; e là dove non è presente, sulla tela di Edward Hopper “Approaching a city”, il Joker (personaggio peraltro dal passato misterioso, e dall’identità mascherata) mette la sua firma scribacchiando: “Joker was here.” Tuttavia, di fronte alla “Figura con carne” di Bacon, il Joker ferma uno dei suoi: “I kinda like this one.”






E ancora, nella “Trilogia del Cavaliere Oscuro” (2005, 2008 e 2012) di Christopher Nolan, il trucco che Heath Ledger usa per interpretare il Joker è ispirato ai quadri di Bacon, come lo stesso regista afferma, estendendo la visione del pittore anche alle ambientazioni: “Mi piace la natura paradossale della pittura di Bacon: più resta vago, meno ti dice di che cosa c’è là, e più mi ritrovo a chiedermi che cosa ci sia dietro a quella maschera oppure in quello spazio oscuro.”

Commissario Gordon: “Niente. Nessuna corrispondenza di impronte, DNA, denti. L’abito è fatto a mano, senza etichette, nelle tasche ha solo coltelli e lanugine. Nessun nome, nessun altro alias.”


La copertina di “American Psycho” di Bret Easton Ellis, edizioni Picador, di Marshall Arisman.
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Antecedenti:
Conte di Lautréamont (Isidore Ducasse)
Les Chants de Maldoror (1869)
“In seguito si accorse di essere nato cattivo: straordinaria fatalità! Occultò il suo carattere finché gli fu possibile, per molti anni; ma alla fine, a causa di questa concentrazione innaturale, ogni giorno il sangue gli montava alla testa; finché, non riuscendo più a sopportare una vita simile, si gettò con decisione nella carriera del male… dolce atmosfera! Chi l’avrebbe detto! quando baciava un bambino dal roseo viso, avrebbe voluto staccargli le guance con un rasoio, e l’avrebbe fatto assai spesso se Giustizia, con il suo lungo corteo di punizioni, non glielo avesse impedito. Non era bugiardo, confessava la verità e diceva di essere crudele.”

La versione cinematografica del 1928 del romanzo “L’uomo che ride” di Victor Hugo (1869). Gwynplaine viene venduto ai comprachicos (una banda di criminali dei bassifondi) che lo sfigurano aprendogli le labbra in modo tale che sembrino contratte in un sorriso eterno. Grazie alla sua smorfia artificiale, Gwynplaine diventa un clown.


Matt Reeves,
Intervista a Variety, 2022.
Parlando del cameo di Joker nel suo “The BatMan”.
“Questo Joker non è caduto in una vasca di sostanze chimiche (come quello di Jack Nicholson) o ha una storia diversa per ogni occasione in merito alle sue cicatrici (vedi Heath Ledger). È come Il fantasma dell’opera. Ha una malattia congenita per cui non riesce a smettere di sorridere ed è orribile. La sua faccia è semicoperta per la maggior parte del film. Non si tratta di una versione in cui cade in una vasca di sostanze chimiche e la sua faccia si distorce, come ha fatto Nolan; non c’è un mistero su come ha ottenuto queste cicatrici scolpite sulla sua faccia. E se questo ragazzo dalla nascita si portasse dietro questa malattia? Ha questo sorriso che la gente ha sempre fissato, perché grottesco e terrificante. Fin da bambino, la gente lo guardava con orrore e la sua risposta era: Ok, quindi mi hanno fatto uno scherzo e questa era la sua visione nichilista del mondo. Il mio punto di riferimento è The Elephant Man di David Lynch.






“Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me”
Da “Batman Forever”, U2, 1995.
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Altri testi.
Riccardo Coppola.
La legge umana e divina nell’Orestea di Eschilo.
(cfr. Il Trittico ispirato all’Oresta di Eschilo di Bacon)
“Sebbene anche le azioni umane descritte nell’Orestea spesso non colpiscano affatto per la loro eticità, la figura delle Erinni rappresenta, nella trilogia, un limite all’arbitrarietà dell’agire, arbitrarietà che sembra sempre in agguato dietro i proponimenti dei personaggi non divini. Essi possono, in altre parole, violare le leggi umane che proibiscono di versare il sangue, ma così facendo ne pagheranno le conseguenze – i tormenti inenarrabili inferti dalle Erinni. Ciò però non avviene nel caso in cui sia un dio a violare le leggi umane: Apollo, infatti, comanda ad Oreste di compiere un’azione oggettivamente immorale. Le divinità non subiranno le vessazioni delle Erinni – proprio perché sono divinità. Ma per Eschilo anche un’azione che umanamente è immorale diventa etica se comandata da un dio – la libertà divina, arbitraria perché non regolata da norme etiche, primeggia sulla necessità umana, su azioni che invece sono soggette agli imperativi etici, questo il vero punto della questione.” […]
Angela Vettese
La protesi tecnologica come forma di camouflage.
Estetiche del camouflage. (2010)
“Siamo sicuri che il confine del nostro corpo sia proprio là dove la pelle lo separa dal mondo? Che i materiali di cui esso è composto siano tessuti organici? Che i nostri sensi e il nostro benessere dipendendo dai nostri soli organi? Che certi orpelli di carattere tecnologico, ormai così vicini al corpo da rappresentarne elementi sentiti come necessari, non siano addirittura diventati una parte della nostra identità? […] Una volta il telefono di casa, saldamente ancorato al muro in posizione verticale, induceva a telefonate brevi e con un tono di qualche ufficialità. Oggi invece amiamo dare persino alle telefonate di lavoro il tono calmo della confidenza apparente. Non disdegniamo di fare sentire all’altro ciò che stiamo facendo: guidare, prendere appunti, passeggiare nervosamente per la stanza. Il fiorire di computer portatili, sempre più piccoli, sempre più ricchi di funzioni, capaci di essere al contempo un telefono, un’agenda e un veicolo per la posta elettronica, è una conferma ulteriore di questo atteggiamento. […] Siamo nomadi nuovi, disposti a viaggiare senza valigia – ma non senza i nostri oggetti tecnologici. Essi si rivelano a un tempo oggetti transazionali sul piano psicologico, strumenti di comunicazione e, ciò che più importa, pezzi essenziali di un travestimento in evoluzione continua. Mentre aumentano i mezzi a nostra disposizione per comunicare, diminuisce la nostra capacità di farlo attraverso le semplici parole. Senza macchine che fungano da intermediari, ci sentiamo nudi e smarriti. Sono la nostra interfaccia e anche la nostra faccia. Ed è qui che entra in gioco quel circolo vizioso a cui si deve il successo di community in Internet come Second Life, MySpace, Facebook e altri sistemi di scambio in Rete. Il camuffaggio qui può essere totale: ci si può presentare alla comunità con la faccia sottratta alla fotografia di un altro, con un nome che non è il proprio, con una storia inventata o accentuata per molti aspetti. Avvertiamo la necessità di dotarci di protesi fisiche e psichiche anche semplici, ma capaci di farci superare il complesso di inferiorità che ormai proviamo per il corpo e la mente al naturale.”
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Performance.
Finitudine.
Corpo, proiettore 8mm,
pellicola tagliata
e montata in loop infinito.
Selezione di immagini e video.
Performance, 2022.
La bellezza e il potere.
Performance digitale.
AngryTeleTubby, 2021.
(not so) fictional places.
Digital performance, 2020.
Dedicated to Patrick Zaki.
Teoria dell’informazione.
Schermo, pennarello, messaggio, busta.
Performance, 2022.
Artificial.
Series: static actions.
Performance, 2020.
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