Il corpo artaudiano.
Il corpo detrito, il corpo frammento, il corpo mostro: nell’Ottocento anche il brutto e il deforme diventano elementi qualificanti del corpo nella letteratura e nella pittura, in un secolo, come lo definisce Antonio Tabucchi, “così scientifico e così positivo.” Nella pittura, in particolare, la rappresentazione diventa fisica, la realtà “si distende come un corpo greve, opaco, potentemente significante” (Gustave Courbet).

Giovanni Duprè, Abel, 1844.
Il corpo della donna nella Colazione sull’erba di Edouard Manet (1862) scandalizza, ma non per la sua nudità: è la sua mancata idealizzazione a sconvolgere il canone dell’epoca. Anche se non è esibito nulla di viscerale e di organico, questi elementi sono presenti come un’ombra sotto la pelle, segnata dalle imperfezioni. Nota Paolo Di Paolo, in “Piccola storia del corpo”, come il corpo sia degerarchizzato, esposto come una natura morta: “in quegli anni la pittura aveva i suoi corrispettivi letterari nei romanzi realisti e veristi. Corpi goffi, sgraziati, malati, ridotti all’indigenza, affamati di cibo o di sesso. […]”

Edouard Manet, Colazione sull’erba, 1862.
”Riesce la letteratura dei nostri anni a raccontare questo sincretismo totale, questo politeismo della Bellezza? Lo fa, con fatica comprensibile, cercando appigli e referenti fuori dalla tradizione, attingendo a suggestioni dal calderone delle immagini artistiche e mediatiche. Mutevole, pronta al travestimento, la letteratura degli ultimi anni non è lontana dalle performance artistiche che cercano l’assoggettamento dello spettatore, il cui desiderio suscitano e insieme rifiutano di esaudire, inventando una strategia dell’avvenenza abilmente alternata a un’altra dell’orrore?” (cfr. Vanessa Beecroft e Matthew Barney).

Vanessa Beecroft, VB54, 2001.
E prosegue: “Il corpo, mai quanto oggi esibito, è sì ossessivamente in scena ma sempre solo nei termini del simulacro. Non costituisce un ambito di relazione: si porge allo sgomento oppure all’adorazione, non è davvero un corpo umano, piuttosto abita in una dimensione luminosa, tabuizzata. Appare di radiosa giovinezza oppure atroce, turpe, difforme: suscita smarrimento e perfino vergogna per l’insostenibilità della bellezza, per il turgore eroico delle membra, oppure raccapriccio. Si parla di un corpo a cui è negata l’integrità, esploso, offeso, ferito, sessuato, oceanico e fecondo, vivificante, omniesteso, audace, escluso, solitario e disperato, ermafrodito, sterile. E’ in questa contraddittoria pletora aggettivale che vanno ricercati senso e ragioni di una tragedia?”
“Queste narici di pelle e d’ossa / dove iniziano le tenebre / dell’assoluto e il dipinto di queste labbra / che tu chiudi come un tendaggio // E quest’oro che ti scivola in sogno / spogliandoti la vita delle ossa / e i fiori di questo sguardo finto / da cui raggiungi la luce // Mummia le mani affusolate / ti rivoltano i visceri, / queste mani la cui ombra spaventosa / prende figura d’uccello // Tutto ciò di cui s’adorna la morte / come per un rito vago, / queste chiacchiere d’ombra e l’oro / in cui nuotano i tuoi neri visceri / E’ là che ti raggiungo, / lungo la strada calcinata di vene / e il tuo oro è come le mie pene, / peggiore testimone e più sicuro.”
– Antonin Artaud, “Invocazione alla mummia.”

“In un autoritratto realizzato nel 1947 incontriamo Antonin Artaud al centro in alto con un volto scavato fino all’osso e un occhio vuoto, mentre nel resto del disegno si accumulano segni e oggetti parziali. Una testa a un lato («ciò che mi opprime»), un intreccio di linee nere nella cassa toracica («una macchina da caffè», la macchina che deve fare funzionare il corpo o uno dei totem presenti in molti disegni di questi anni?), una grossa mano con due dita alzate come nel gesto delle corna (uno scongiuro, un gesto «per assassinare la magia»?), un orecchio. Il disegno è curiosamente datato dicembre 1948, quando cioè il suo autore era già morto da qualche mese (probabilmente nello scrivere la data aveva sbagliato di un anno). A Paule Thévenin, che ha raccolto queste testimonianze, Artaud disse che nel disegno ha rappresentato se stesso «sulla strada delle Indie 5000 anni fa».”
– Riccardo Ferrari, 2021. Prosegui qui la lettura.
“Questa carne che non si trova più nella vita, questa lingua che non riesce a superare la sua scorza, questa voce che non passa più per le strade del suono, questa morte moltiplicata di me stesso e in una sorta di rarefazione della carne. L’avete vista la mummia irrigidita nell’intersezione dei fenomeni, questa ignorante, questa vivente mummia che tutto ignora delle frontiere del suo vuoto, che si spaventa delle pulsazioni della sua morte.”
– Antonin Artaud, “Notes pour une lettre aux Balinas”.

Percival, “Seans: hommage a Antonin Artaud”, 1977.
”Ogni apparizione dell’attore sullo schermo è un anticipo della sua morte (in questo senso forse bisogna intendere gli eterni ri-morti di Bazin), e insieme ne è lo scongiuro. Se si vuole, il sonoro è una protesi, il colore è il perfezionamento del make-up: imbalsamazione di una mummia semovente, fatta di luce e di ombra. […] Non ci si trova mai coinvolti in un film senza pericolo, se il film è degno di questo nome, perché il cinema dà vita alla mummia dell’essere, libera e rende visibile il Ka, il fantasma del Doppio.”
– Alessandro Cappabianca
Dell’altro che è nel medesimo.
Artaud e il cinema.
Valentina Puoti
Ana Mendieta
Storia di un’artista dimenticata
2021.
Il percorso artistico di Ana parte dai suoi primi anni universitari, tra il 1972 e il 1973, durante i quali l’artista sperimenta diverse tecniche per esplorare ed esaminare la soggettività femminile e l’identità di genere. Nel fare questo utilizza la fotografia come mezzo e come soggetto principale il suo stesso corpo. In Glass on body, Ana manipola varie parti del suo viso e del suo corpo schiacciandole su una lastra di vetro, deformandole e snaturandole; mentre in Facial Hair Transplant, serie fotografica presentate per la sua tesi del master, Ana è fotografata con una finta barba (fatta con veri peli tagliati dal volto del suo amico Morty Sklar) con l’intento di analizzare l’apparenza estetica della donna e dell’uomo.

Il corpo è sempre al centro delle opere di Ana, spesso come mezzo di ribellione e di denuncia. Emblematica in questo senso è un’opera del 1973 intitolata Untitled (Rape scene), che come annuncia il titolo è una reazione alla violenza sulle donne e, più in particolare, rappresenta la risposta allo stupro e omicidio di una studentessa universitaria di nome Sara Ann Otten. Il lavoro consiste in una performance dal vivo, in cui Ana invitava i professori e gli studenti al suo appartamento, facendosi trovare nel mezzo di una stanza, ricreando la scena dello stupro esattamente come era stata descritta dalla cronaca. Lei restava legata, immobile e “sanguinante” per circa un’ora.

L’artista era, infatti, convinta che l’unico modo di denunciare un mostruoso atto di violenza, quale è lo stupro, fosse far sì che le persone si trovassero di fronte all’accaduto stesso, restandone traumatizzate. Nel corso di varie sperimentazioni, il sentimento di base che influenza l’operato di Ana è stato sicuramente quello dell’appartenenza ancestrale alla terra. Il distacco forzato e violento dalla sua adorata Cuba, negli anni dell’infanzia, fu sentito infatti come uno sradicamento e portò l’artista a elaborare un determinato concetto di natura, secondo il quale tutte le creature del mondo appartengono alla Madre Terra.

Fanno quindi il loro corso, nascendo, morendo e ricominciando il ciclo vitale a partire dalla natura stessa. E’ così che nascono i cosiddetti Earth-body works, lavori di terra-corpo. Siluetas e Fetish (entrambi realizzati tra il 1973 e il 1980) sono una serie di performance e sculture all’aperto, iniziate da un viaggio che Ana compie in Messico, nelle quali l’artista si distende nuda in scenari naturali e si ricopre di fiori o di terra e altri materiali. Questo tipo di rappresentazioni subiscono poi un’evoluzione, finché le siluetas non diventano delle semplici sagome, rappresentanti un corpo, il corpo di Ana. Si fondono quindi con gli elementi naturali quasi come se stessero per ritornare al loro stato originario e primordiale.

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Performance.
Obskené.
Fifth study.
Selection of images from video.
Performance, 2021.
Thanks to Paolo for supporting.
Installazioni Olfattive Impermanenti.
Spruzzatore, profumo.
Installazione urbana, 2021.
Il grado zero del percorso.
Pagine dai “Viaggi di Gulliver” di J.Swift,
frottage delle pavimentazioni stradali.
Performance, 2020.
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