Il corpo finestra.
Terme di Caracalla, Roma. 216 d.C.
Nelle tavolette sumere, l’acqua è citata per il suo uso terapeutico; i sacerdoti egizi devono lavarsi più volte al giorno per preservare la loro purezza; nella cultura ebraica, Naam guarisce dalla lebbra con frequenti abluzioni nelle acque del Giordano. E’ con Ippocrate che si inizia a scindere l’aspetto magico e religioso da quello medico, e nella cultura ellenica il termalismo si diffonde fino alla sua massima espressione, durante il periodo imperiale romano.
Le terme sono luogo dove ci si prende cura del proprio corpo: bagni freddi, caldi, vasche natatorie; spesso a questi ambienti vengono affiancati teatri, sale di lettura, attività commerciali. Le donne e gli uomini romani fanno uso di cosmetici e si depilano; dall’acconciatura delle donne raffigurate negli affreschi possiamo notare che ogni età romana aveva la sua moda: in età imperiale i capelli vengono raccolti in trecce e disposti sul capo; all’epoca dei Flavi si usa il calamistrum per avere riccoli fittissimi; durante gli Antonini si diffondono le prime parrucche; in età Severiana si preferisce la discriminatura centrale, e i cappelli raccolti a cignon dietro la nuca.
Nel 229 a.C. giunge a Roma, dalla Grecia, Archagatus: lo stato romano gli offre la cittadinanza, e un locale gratuito dove può esercitare: medico della mutua ante litteram, è stipendiato dallo stato perché tutti possano beneficiare delle sue competenze. E’ il primo di una lunga serie di medici che dalla Grecia emigrano a Roma. Alcuni privati, altri pubblici, altri ancora seguono l’esercito romano per curare le ferite e steccare le fratture dei soldati, altri sono specializzati in patologie specifiche, altri ancora operano come assistenti, e da lì poi aprono vere e proprie scuole di medicina, sostenute poi ufficialmente da Giulio Cesare.
Ippocrate inventa la cartella clinica, la comparazione dei sintomi, la diagnosi e la prognosi, e il famoso giuramento. Pensa che il corpo sia governato da quattro umori diversi: sangue, bile gialla, bile nera e flegma; il modo in cui si combinano tra di loro porta il corpo alla salute oppure alla malattia. In alcuni libri descrive il comportamento che il medico deve tenere durante la visita: essere discreto, parlare a bassa voce, essere sorridente, esprimere fiducia e ottimismo per la guarigione. Se il paziente è agitato, deve essere calmato con dolcezza.
500 anni dopo, come molti altri medici che operano in campo militare e hanno la possibilità di studiare che cosa accade ai corpi sottoposti a traumi più o meno gravi, Galeno lavora come chirurgo alla scuola dei gladiatori di Pergamo. Scrive che le ferite sono “finestre sul corpo”. Vive a Roma dal 162 d.C., e grazie alla sua fama diventa medico dell’imperatore Marco Aurelio, poi di Commodo e infine di Settimio Severo. Effettua vivisezioni di numerosi animali per studiare la funzione dei reni e del midollo spinale; lo seguono sempre 20 scrivani, che annotano le sue parole.
E’ convinto che il principio fondamentale della vita sia il pneuma (aria, alito, spirito). In seguito, gli autori del periodo medievale interpreteranno questa sua definizione nell’accezione di anima. Secondo Galeno il corpo è abitato da tre entità: lo spirito animale nel cervello, che controlla i movimenti, la percezione e i sensi; lo spirito vitale nel cuore, che controlla sangue e temperatura corporea; infine lo spirito naturale nel fegato, che regola alimentazione e metabolismo. Dimostra che le arterie trasportano sangue, e non aria; effettua i primi studi sulle funzioni dei nervi, del cervello e del cuore; sotiene inoltre che la sede dei pensieri sia situata nel cervello, e non nel cuore, a differenza della tradizione aristotelica.
Con la caduta dell’Impero Romano, fino al medioevo, molte conoscenze mediche acquisite nel corso dei secoli vanno perse, e al culto di Esculapio si sostiuisce quello di Cristo; la relazione tra anima e corpo si fa più stretta, il Vangelo si rivolge agli ammalati, la guarigione è un intervento divino, il miracolo è lo stavolgimento di un destino fisico che non può essere cambiato se non con la preghiera e la fede. Nasce il culto dei santi guaritori, che arriverà fino ai giorni nostri.
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Medico greco pratica un salasso (vaso attico del 480–470 a.C.)

Igea, seduta insieme al padre Asclepio, nutre un serpente: simbolo del dio, era usato nei rituali curativi dei santuari a lui dedicati.

Achille benda le ferite di Patroclo durante la guerra di Troia. Kylix di Sosias, V secolo a.C.

Pittura romana: intervento chirurgico su un soldato. Da una pittura murale di Pompei.

Illustrazione su come curare una lussazione della colonna vertebrale proveniente da un’edizione del trattato di Apollonio, “Sulle articolazioni”. Biblioteca Medicea Laurenciana, Firenze
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Tersite e il brutto, Filottete e il malato.
Testi.
Francesca Rigotti.
“Filottete: rubare l’anima” di Enrico Testa.
Doppiozero, 2021.
“Filottete soffre anche del fetido odore della piaga al piede, che disturba pesantemente le narici dei Greci. L’odore del dolore, poco se ne conosce. L’odore del miserabile, del malato, del povero. L’odore della stanchezza, della miseria, della paura. L’odore del reietto e dell’oppresso. Poco di questo si parla, ma è bene ricordare che i discorsi razzisti insistevano e insistono anche sul cattivo odore dei neri, degli schiavi, dei migranti, o anche dei meridionali degli anni ‘50. Puzzavano, puzzano. Vorrei saperne di più, vorrei avere letto un libro, sull’odore del dolore, sul fetore di Filottete e sul cattivo odore di coloro che non sono i nostri. […] Filottete è stato dunque allontanato dal consesso dei Greci perché la sua sofferenza espressa come fetore e come grida li disturbava. Come si comporta ora che gli viene proposto di ritornarvi? E come Odisseo? Odisseo non sarebbe Odisseo se non ricorresse all’inganno: fagli credere che gli sei amico – raccomanda a Neottolemo – prendilo con l’inganno, digli che lo riporteremo alla casa del padre, «rubagli l’anima», giacché, esclama Odisseo qui volonteroso discepolo di Bentham, «dire il falso non è cosa vergognosa se porta al successo». È necessario, δεῖ, dice il testo greco. È il comando imperioso di Odisseo a Neottolemo: vedi di riuscire a rubargli l’anima, ψυχήν… ἐγκλέψεις. Non è grave, non è un furto vero e proprio, è una specie di furto metaforico, sembra voler dire Odisseo. E tuttavia di fatto la ψυχή è la vita, è l’essenza della persona; non un organo del corpo ma in qualche modo la persona stessa, la sua essenza vitale e, dopo la morte, la sua immagine, la sua ombra.”
Francesco Mari.
Il significato sociale dell’impudenza di Tersite nei confronti di Agamennone e lo studio delle “buone maniere” dei greci antichi.
Freie Universität Berlin.
Quaderni del Ramo d’Oro, 2017
Come la bruttezza esteriore di Tersite riflette quella interiore, anche l’insolenza dei suoi modi riflette il disordine del suo animo. Così, nell’epos omerico, l’etos degli individui è tradotto in una forma del corpo che ne chiarisce immediatamente la natura12: in quanto direttamente visibile, insomma, in Omero il corpo costituisce la chiave di letteratura privilegiata per comprendere la disposizione d’animo dell’altro. Questa maniera empirica di «leggere l’anima» attraverso il corpo caratterizzò il pensiero greco molto a lungo, e il parallelismo tra qualità interiori e manifestazioni esteriori si ritrova nelle fonti con tale continuità che non sembra improprio considerarlo una delle espressioni più caratteristiche dell’ideologia delle élite greche d’epoca arcaica. Recentemente, Vincent du Sablon ha definito questa pratica «giudizio socio-estetico»16, ed è in questo modo che vi si riferirà, d’ora innanzi, anche in questa sede. La quasi totalità delle fonti letterarie in nostro possesso per quel periodo è espressione dell’ideologia socio-estetica, che ha segnato molto in profondità anche la produzione del V secolo a.C. Su qualunque definizione o griglia d’analisi della sociologia contemporanea si trovi appoggio per studiare le «buone maniere» dei Greci, è dunque da questo gioco di specchi che occorre prendere le mosse. Non si tratta tanto, infatti, d’individuare le norme di comportamento in vigore, quanto di comprenderne il senso e la ragione d’esistere.”
Testo classico del giuramento di Ippocrate:
Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni, che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest’arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest’arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un’ iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell’arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.
Testo moderno del giuramento di Ippocrate:
Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:
– di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
– di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;
– di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute;
– di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte;
– di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato;
– di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa;
– di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona;
– di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina, fondato sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita;
– di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
– di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto;
– di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità;
– di rispettare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che osservo o che ho osservato, inteso o intuito nella mia professione o in ragione del mio stato o ufficio;
– di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione.
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Performance.
Paesaggio e movimento.
Fissando il muro per 5 minuti e 30 secondi.
Corpo, parete bianca.
Performance, 2022.
Un’affezione dello sguardo.
2 accecamenti, uguali e distinti.
Sguardo, schiuma, fiammiferi.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2022.
Un battito d’ali.
Pinze, piume, corpo.
Performance, 2022.
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Cindy Sherman.
“Quando andavo a scuola cominciava a disgustarmi la considerazione religiosa e sacrale dell’arte, e volevo fare qualcosa… che chiunque per strada potesse apprezzare… ecco perché volevo imitare qualcosa di appartenente alla cultura, e nel contempo prendermi gioco di quella stessa cultura. Quando non ero al lavoro ero così ossessionata dal cambiare identità che lo facevo anche senza predisporre prima la macchina fotografica, e anche se non c’era nessuno a guardarmi, per andare in giro.”





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