Il corpo disegnato.

Come scrive Umberto Eco in “Apocalittici e integrati” il fumetto è a pieno titolo tra gli strumenti comunicativi come la radio, la televisione e i giornali: ha subito una importante evoluzione da quando, nato come fenomeno culturale del tutto marginale, si è  ritagliato uno spazio sempre più importante all’interno della società nel corso dei secoli.

 

 

Secondo Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXV, 15-51) “…il vasaio Butade Sicionio scoprì per primo l’arte di modellare i ritratti in argilla; ciò avveniva a Corinto ed egli dovette la sua invenzione a sua figlia, innamorata di un giovane. Poiché quest’ultimo doveva partire per l’estero, essa tratteggiò con una linea l’ombra del suo volto proiettata sul muro dal lume di una lanterna; su quelle linee il padre impresse l’argilla riproducendone il volto; fattolo seccare con il resto del suo vasellame lo mise a cuocere in forno”.

Plinio il Vecchio fa riferimento ad un mito molto più antico, tramandato già da Erodoto; è poi nella seconda metà del sedicesimo secolo, con Leon Battista Alberti (De Pictura), che è attribuita a Narciso l’invenzione del ritratto: “Narcisso convertito in fiore essere della pittura stato inventore“.

Scrive Heinrich Füssli nel 1801, riprendendo il mito della figlia di Butade: “Se esiste una leggenda che merita la nostra attenzione, è proprio la storia d’amore della fanciulla corinzia che, grazie alla luce di una lampada nascosta, tracciò i contorni della sagoma del suo amato prima che questi la lasciasse; tale racconto ci spinge a formulare delle osservazioni sui primi tentativi meccanici di pittura e su questo metodo lineare che, pur non essendo stato praticamente rilevato da Winckelmann, ha continuato a costituire la base della prassi esecutiva molto dopo che lo strumento per cui venne ideato era stato accantonato”.

Il ritratto dipinto (disegnato), quindi, nella sua duplice valenza: da un lato, il mito del perduto ma per amore fissato a ricordo; dall’altro, l’interferenza identitaria prima e patologica poi del narcisistico, del riconoscersi in presenza della propria immagine. Sono temi che permarranno nel tempo fino a diventare questioni centrali della fotografia.

 

Le origini del fumetto, come arte che diparte dall’insieme vastissimo della pittura e della grafica in genere, possono essere ricondotte alla satira di costume, polemica e spietata, condotta attraverso disegni caricaturali e simbolici, che prende piede in Inghilterra e in Francia tra il ‘600 e il ‘700: gli gli anticipatori immediati e diretti del fumetto, in senso cronologico, furono Töpfer (1799-1846) e Busch (1832-1908), i quali pubblicarono sulle pagine dei giornali europei le loro storielle per immagini che influenzarono tutti i loro successori; i corpi da loro ritratti subiscono mutazioni metaforiche, che rimandano ad altro: visioni che rispecchiano stati morali e considerazioni politiche (biopolitiche). Si arriva poi ai caricaturisti americani della fine del XVIII secolo, che diedero inizio alla gloriosa avventura delle Comic strips, anche se è solamente alla fine del XIX secolo che possiamo iniziare a parlare di fumetto vero e proprio.

 

 

Richard Outcault, il 5 maggio 1895, pubblica Yellow Kid sul supplemento domenicale del quotidiano New York World. Inizialmente è protagonista di grandi tavole a tutta pagina e solo in seguito (16 febbraio 1896) si arriva all’ introduzione delle nuvolette, delle sequenze di vignette, e di tutti gli altri elementi tipici del fumetto. Il primato tuttavia è conteso in Europa: oltre ai classici come lo svizzero Rodolphe Töpffer (autore di numerose “histoires en images” all’inizio dell’Ottocento) o il tedesco Wilhelm Busch (creatore dei monelli Max und Moritz), non mancano personaggi che potrebbero contendere a Yellow Kid questo primato: l’inglese Ally Sloper, creato nel 1867 da Charles Henry Ross, La famille Fenouillard, protagonista di strampalate storie scritte e disegnate dal francese Georges Colomb nel 1889, o i Little Bears, realizzati nel 1892 dallo statunitense James Swinnerton.

 

 

 

Nel clima americano degli anni ’30 i protagonisti delle strisce a fumetti sono usati per trasmettere il valore delle virtù americane del riscatto sociale. Little Orphan Annie ad esempio, creata da Harold Gray nel 1924, è un’orfana adottata da un industriale che ha accumulato ricchezza grazie alle commesse della Prima Guerra Mondiale. È chiaro quindi come il personaggio e le storie volessero rafforzare la morale conservatrice di una società capitalistica. Blondie e Dagoberto (di Chic Young) sono i rappresentanti della famiglia americana ideale; mentre Li’l Abner (del premio Nobel Al Capp), un agricoltore circondato da bellissime figure femminili, rappresenta pienamente la povertà diffusa durante la Grande Depressione.

 

 

Nel 1938 (data di inizio di quella che viene definitiva la Golden Age del fumetto – nel mentre, l’ascesa dei totalitarismi, la Seconda Guerra Mondiale) nasce Superman: la muscolatura è da atleta, ma ancora nel campo del possibile. All’inizio non sa volare, ma può fare salti altissimi. Nasce anche Capitan America: prima è Steven Rogers, ha una corporatura gracile, ma vuole fermamente combattere la giusta guerra contro il fascismo. Poi, riceve una “pozione magica” dagli scienziati dell’esercito per diventare il soldato perfetto.

 


1940, Kirk Alyn.


1978, Christopher Reeve.


2013, Henry Cavill.

 

“Per comprende parte della filosofia di Superman, possiamo usare la famosa citazione dal fumetto Hitman: Come ho detto, so di non poter salvare tutti, ma so anche che cosa significa per così tante persone l’idea di Superman… Io sono l’uomo che arriva dal cielo e aiuta la gente. Se ci sono io, tutto andrà bene. E tutti… tutti ne sono convinti. Tutti sanno di Superman.[…] Eccolo là, il ragazzone americano. Allevato con la bandiera, la storia, la torta di mele della mamma, addestrato prima da aviatore e poi da astronauta, il massimo grado di impegno umano, e sta per compiersi ciò che il suo paese gli ha promesso. Porta con sé tutto ciò in cui crede. Le cose di cui è certo: gli spari uditi nel mondo, Forte Alamo, l’ultima battaglia di Custer, alcuni marines che alzano la bandiera a Iwo Jima… l’America, il più grande paese della terra di Dio e Superman… se c’è Superman a salvarlo, non deve temere. Ho paura di questa cosa che tutti credono, la verità inattaccabile. No, non può essere ovunque, ma se interverrà per me, io sarò al sicuro.” (The Nerds Family, 2017)

 

 

“Contro una morale per cui il fine giustifica i mezzi e il ricorso a espedienti, come è l’utilitarismo di Iron Man, si schiera Capitan America e la sua etica deontologica alla Immanuel Kant. Per Capitan America ogni atto supereroico deve essere giusto, cioè aderire a principi e doveri universali, perciò non c’è fine che possa giustificare l’impiego di mezzi per principio ingiusti o il ricorso a espedienti che permettano di non compiere ciò che si deve – o di compiere ciò che non si deve. Sono le intenzioni dell’atto a contare e non le sue conseguenze: fiat iustitia et pereat mundus, regni la giustizia dovessero anche per essa perire tutti assieme agli scellerati che esistono nel mondo. Questo il motto di un’etica della convinzione più che della responsabilità, di un’etica inesorabile, disinteressata e sicuramente non sentimentalista.” (Stefano Petruccioli, Lospaziobianco, 2015)

 

 

1961, Silver Age del fumetto: Stan Lee e Jack Kirby creano i Fantastici Quattro. Tre di loro sono indistinguibili dalle persone “normali” finché non attivano i loro poteri (Susan Storm può diventare invisibile, John Storm allungare i suoi arti, Reed Richards incendiarsi come una torcia), il quarto è soprannominato La Cosa: il suo corpo è fatto di rocce, e mantiene a stento una parvenza umana. La Marvel in questi anni propone invece canoni estetici diversi da quelli DC Comics: degli X-Men, la Bestia ha mani e piedi deformi, da primate, Angelo deve nascondere le sue ali per non spaventare le persone, Ciclope deve indossare sempre degli occhiali per contenere il suo potere distruttivo.

 

 

Infine, la Broze Age del fumetto: la notte in cui morì Gwen Stacy (nella serie de “L’Uomo Ragno”) finisce l’età d’argento dei comics. Il mondo degli eroi diventa più oscuro, la loro morale alle volte ambigua. Swamp Thing e Wolverine si distaccano completamente da qualsiasi ideale estetico precedente e hanno corpi al limite del grottesco. L’ultimo trapasso avviene con Todd McFarlane: la ricerca della perfezione o del realismo nella raffigurazione lascia il posto al manierismo.

 

 

Da Narkive, 2012.

“DC ha iniziato la sua creazione di eroi definendo i suoi eroi come esseri mitici che hanno lavorato come esempi di umanità, letteralmente il meglio di ciò che un uomo potrebbe essere. Superman, Batman, Wonder Woman erano tutti esempi di virtù; forza, forza di volontà o forza d’animo personale. Batman della DC mostra lo spirito indomabile dell’Uomo, Wonder Woman mostra che la pace è desiderabile, ma spesso bisogna lottare per essa. Superman mostra l’innata bontà del duro lavoro, moderazione in tutte le cose, moderazione e umiltà anche quando è dotato di un potere fenomenale. È un dio che aspira all’umanità.”

“L’approccio della Marvel era in qualche modo diverso. Laddove la DC mostrava gli dei in abiti maschili, la Marvel voleva elevare Uomini (e Donne) a una statura divina. Mortali fragili come Peter Parker e Dr. Banner furono improvvisamente dotato di capacità simili a dio ma con fragilità fin troppo umane. Rabbia, rabbia, indifferenza, disprezzo, debolezze mortali che hanno dato agli eroi della Marvel una qualità di ogni uomo più umana e più comprensibile. La Marvel ha cercato di creare eroi che spesso acquisivano capacità supereroiche, i Fantastici Quattro sono l’esempio perfetto. Astronauti, scienziati, piloti, stuntmen della F.F. erano già tra i migliori in quello che facevano, quindi quando sono stati immersi nella tempesta cosmica che conferisce loro i loro poteri, hanno semplicemente sperimentato un’apoteosi, un’estensione del loro status eroico in uno stato simile a un dio.”

“Gli Inumani, soggetti di sperimentazione da millenni fa, ogni membro era diversi all’esterno rispetto a qualsiasi altro membro, ma erano persone cordiali e amorevoli (per la maggior parte) esseri straordinari che semplicemente volevano ciò che la gente comune voleva, accettazione e rispetto. Gli X-men e altri mutanti benedetti con abilità sovrumane non erano venerati ma insultati dall’umanità che temeva questo potenziale di cambiamento incorporato proprio nel loro DNA. La Marvel ha anche reso omaggio agli uomini che si sono fatti da soli come Hank Pym e Tony Stark il cui genio ha permesso loro di sostituire la loro umanità utilizzando la tecnologia. Gli eroi più iconici della Marvel sono stati costantemente possono essere messi in relazione da un pubblico più ampio perché i loro problemi primari sono molto umani, conditi con una salsa sovrumana. Tony Stark si è tradotto bene sul grande schermo come un saggio, sapientone, tecnicamente intelligente eppure per certi versi così socialmente inetto. Spider-Man, nonostante tutte le sue capacità, è ancora un giovane che cerca di ritrovare se stesso e di adattarsi all’idea di grande potere e alla sua intrinseca responsabilità.”

 

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Altri percorsi:

 

Jacopo Fioretti.
Sandman, un fumetto.
Ancora oggi il nostro Sogno Collettivo.

“Gaiman decide di adottare una rielaborazione postmoderna di tradizione cristiana e greca, folklore nordico e africano, racconti shakesperiani, fiabe e favole. L’autore inglese attinge da Dante Alighieri, da John Milton, ma anche da Washington Irving, ponendosi come obiettivo quello di ricontestualizzare tutta quella mole incredibile di memoria collettiva e cultura universale per renderla sia personale che accessibile al lettore, pur avendo cura di conservare la sua natura mitologica, ovvero affermarne l’immortalità. Sandman è un’intelaiatura di storie, anche sfilacciata, anche approssimativa nel fornire delle coordinate temporali. È volutamente estraniante, alienante, nel corso del tempo sempre più distaccata dal lettore, in piena armonia con lo spirito del suo protagonista, che è un servo ed è uno spettatore delle cose del mondo e dell’uomo.”

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Sauro Pennacchioli.
Il Cannibale nasce tra Bologna e Roma (2019).

“Se Max Capa si rifaceva a Guy Debord, un autore influenzato dal surrealismo, Stefano Tamburini va alle radici del dadaismo con Francis Picabia. Picabia era un Andy Warhol ante litteram riscoperto nella metà degli anni settanta, quando a Torino gli viene dedicata una grande mostra (ci sono andato a 15 anni). Attualmente Picabia è di nuovo caduto nel dimenticatoio, quindi non vergognatevi se non l’avete mai sentito nominare. Stefano Tamburini (1955-1986) fonda quindi “Cannibale”, una rivista di fumetti underground interprete del Movimento del 1977: un movimento demifisticatorio di tutti i miti, compresi quelli sessantottini, esploso a Roma e soprattutto a Bologna. In quest’ultima città nascono anche gli indiani metropolitani, una via di mezzo tra gli hippy e i punk. Mentre a Milano, dove il ’68 non è ancora finito, il Movimento del ’77 si avverte soprattutto per la violenza di Autonomia Operaia: con un loro aderente avevo dipinto un grande manifesto davanti al liceo Cattaneo e due giorni dopo l’ho rivisto sulle prime pagine dei giornali mentre uccideva a sangue freddo un poliziotto. L’intento di “Cannibale” è essere l’equivalente italiano di Zap, la rivista di Robert Crumb realizzata al tempo della contestazione americana. D’altra parte, il nome “Cannibale” è lo stesso di una pubblicazione di Picabia del 1920. Gli autori sono Massimo Mattioli (quello di Pinky del settimanale cattolico Il Giornalino, 1943-2019), Filippo Scozzari, Andrea Pazienza (1956-1988) e Tanino Liberatore.”

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Noemi De Lisi.
Brian The Brain.
Lo snuff drama a fumetti di Ángel Martín.

“Nonostante l’impressionante mancanza della calotta cranica col cervello in bella vista, Brian non si copre mai la testa in pubblico (e neanche la madre glielo consiglia, stranamente). Anzi, in un episodio, quando il bambino si prende dei parassiti al cervello (una sorta di pidocchi) e viene fasciato con una benda dai medici, lui se la toglie prima di entrare in classe pensando: “altrimenti mi prenderanno in giro. In realtà, il gruppetto di bambini normodotati lo prende in giro continuamente proprio per il cervello scoperto. Anche durante l’adolescenza Brian non si coprirà mai il cervello, solo in età adulta lo vediamo perennemente con un berrettino. Il cervello scoperto è come avere il cuore scoperto. I pensieri, le emozioni, non vengono forse dal cervello? Il cuore è solo un’appendice, un sintomo collaterale delle trasmissioni cerebrali. Così Brian vive lasciando scoperta la parte più intima di sé. All’inizio è un bambino entusiasta nonostante le brutture e la crudeltà del mondo in cui vive. Gli succedono cose terribili e continua ad andare avanti, continua a sperare (come nell’episodio in cui invita il gruppetto di bambini normodotati al suo compleanno e non si presenta nessuno – perché quelli speciali come lui stanno male o nel frattempo sono morti tutti).”

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Paolo La Marca.
I am what I am.
Manga, corpi e identità di genere.
Università degli Studi di Catania.
DIVE-IN – An International Journal on Diversity and Inclusion 2(2), 2022
ISSN 2785-3233 – License Creative Commons 4.0

Obiettivo principale di questo articolo è analizzare opere che hanno affrontato il tema dell’identità di genere – nella fattispecie, la figura del josō no shōnen/otoko (ragazzi/uomini in abiti femminili) – in una selezione di manga apparsi su riviste generaliste per un pubblico maschile, in un periodo compreso tra il 1969 e il 1976. Sebbene i fumetti per ragazze e donne abbiano sempre affrontato questioni come l’identità trans, la disforia di genere e l’identità di genere, può risultare ancora più interessante esaminare queste stesse tematiche da un punto di vista maschile. Ho selezionato opere di Tatsumi Yoshihiro, Kamimura Kazuo, Sakaki Masaru etc., artisti che, sebbene amati dal pubblico dei lettori, sono stati poco analizzati – o, in alcuni casi, completamente ignorati – dalla critica, sia giapponese che estera. Per tale motivo, credo che queste opere possano offrire nuove prospettive d’analisi su questioni estremamente attuali come l’inclusione e l’identità trans.”

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Maria Bellotto.
Super eroine dei fumetti e gender equality.
Una guerra ancora da vincere.

“Un esempio interessante di questo (fallito) tentativo di dare pari opportunità alle super eroine viene fatto da Marvel Comics nel 1977, anno di debutto di Ms. Marvel. Alter ego di Carol Danvers, nasce come controparte di Captain America e simbolo del movimento femminista, tanto che le copertine del fumetto dedicatole riportano il sottotitolo «This Female Fights Back!». Le cose però sfuggono presto di mano e la super eroina sarà oggetto di aspre controversie nel momento in cui rimarrà vittima di uno stupro (tema particolarmente attuale oggigiorno, in quanto verrà drogata e farà sesso non consenziente di cui non conserverà memoria), darà alla luce un figlio e in seguito, contro ogni logica e buonsenso da parte degli autori, finirà con l’innamorarsi del suo stupratore, minimizzando la gravità dell’accaduto. Un vero disastro dal punto di vista educativo.”

“Ci sono stati però anche alcuni riusciti sforzi ammirevoli come nel caso di Chris Claremont, che introdusse, come spiega Lavin «una serie di eroine indipendenti, volitive e generalmente ammirevoli». È il caso di Kitty Pryde degli X-Men. Kitty è un meraviglioso esempio di personaggio femminile realistico, complesso e tridimensionale. È un’adolescente che soffre di ansia, solitudine e vuole essere presa sul serio dagli adulti. Non è disegnata come una top model dalle gambe chilometriche e la vita sottile, ma in modo adeguato a un personaggio della sua età, magrolina e proporzionata.”

“Se il XX secolo non sempre si è mosso nella giusta direzione per quanto riguarda i ruoli e la rappresentazione femminile, il XXI secolo ha quantomeno fatto dei passi avanti. La caratterizzazione della donna come mero oggetto sessuale, con caratteristiche fisiche sessualizzate all’estremo, ha visto un calo negli ultimi decenni, così come le rappresentazioni di donne vittime di brutalità fisica e secondo rigidi stereotipi di genere. A tal proposito uno studio condotto da Katherine Murphy sui fumetti Marvel dagli anni Sessanta a oggi pare confermare questa tendenza.”

Prosequi qui la lettura.

 

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Performance

 

Representations.
B/W polaroid, acrylics.
Series: dis-works.
Performance, 2020.

 

Orizzonte degli eventi.
Corpo, telo trasparente.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2021.

 

Definizioni.
Mixed media, 2020.

 

Teoria dell’informazione.
Schermo, pennarello, messaggio, busta.
Performance, 2022.

 

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6 risposte a “Il corpo disegnato.”

  1. […] Il corpo disegnato. Nel clima americano degli anni ’30 i protagonisti delle strisce a fumetti sono usati per trasmettere il valore delle virtù americane del riscatto sociale. Little Orphan Annie ad esempio, creata da Harold Gray nel 1924, è un’orfana adottata da un industriale che ha accumulato ricchezza grazie alle commesse della Prima Guerra Mondiale. È chiaro quindi come il personaggio e le storie volessero rafforzare la morale conservatrice di una società capitalistica. Blondie e Dagoberto (di Chic Young) sono i rappresentanti della famiglia americana ideale; mentre Li’l Abner (del premio Nobel Al Capp), un agricoltore circondato da bellissime figure femminili, rappresenta pienamente la povertà diffusa durante la Grande Depressione. […] […]

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  2. […] / 1903 d.C. – Il corpo velenoso. / 1929 d.C. – Il corpo testimone. / 1938 d.C. – Il corpo disegnato. / 1962 d.C. – Il corpo epidermico. / 1963 d.C. – Il corpo bruciante. / 1969 d.C. – Il […]

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  3. […] / 1903 d.C. – Il corpo velenoso. / 1929 d.C. – Il corpo testimone. / 1938 d.C. – Il corpo disegnato. / 1962 d.C. – Il corpo epidermico. / 1963 d.C. – Il corpo bruciante. / 1969 d.C. – Il […]

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  4. […] Il corpo disegnato. Come scrive Umberto Eco in “Apocalittici e integrati” il fumetto è a pieno titolo tra gli strumenti comunicativi come la radio, la televisione e i giornali: ha subito una importante evoluzione da quando, nato come fenomeno culturale del tutto marginale, si è ritagliato uno spazio sempre più importante all’interno della società nel corso dei secoli. [Prosegui qui la lettura] […]

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  5. […] 1912 d.C. – Il corpo persona e il corpo creatura. 1929 d.C. – Il corpo testimone. 1938 d.C. – Il corpo disegnato. 1962 d.C. – Il corpo epidermico. 1963 d.C. – Il corpo bruciante. 1969 d.C. – Il corpo […]

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  6. […] 1912 d.C. – Il corpo persona e il corpo creatura. 1929 d.C. – Il corpo testimone. 1938 d.C. – Il corpo disegnato. 1962 d.C. – Il corpo epidermico. 1963 d.C. – Il corpo bruciante. 1969 d.C. – Il corpo […]

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