Il corpo post-organico.

Il cielo sopra il porto
aveva il colore della televisione
sintonizzata su un canale morto.
(William Gibson, Neuromante)

 

Scrive Sara Simonini (su EduEDA – EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, 2012): “Una problematica centrale oggi giorno è quella del corpo. Si sente parlare molto del corpo e se ne sentirà parlare ancora di più negli anni a venire, perché il corpo è in questione: o scompare tradotto in numeri, numerizzato, divenendo una collezione di molecole elettroniche, oppure sarà rafforzato mediante la sua estensione. Il corpo contemporaneo è un corpo bionico, un misto di tecnologia e biologia.”

 

L’esplorazione delle possibilità dei nostri corpi, parallelamente alla conoscenza del sé, si tira dietro la comprensione della relazione tra corpo e ambiente, in larga parte medializzata oggi dalla tecnologia, che ha ridisegnato non solo il vivere, ma anche il nascere e il morire, e i criteri sulla base dei quali definire l’essere individui.

 


La piattaforma eterni.me, che permette di proseguire la propria esistenza sui social, sostituite da un clone-algoritmo che  ci “studia” e impara a “comportarsi” (postare, commentare, etc) come avremmo fatto noi.

 

Principalmente sono due, i fronti dell’umano che la tecnologia ha scavalcato: velocità e sistemi sensoriali estesi. Se da un lato il tecnologico desensibilizza il corpo, disconnettendolo da alcune sue funzioni – in primis dalla mobilità – dall’altro ha prodotto una simbiosi con il network definito macchinico.

 

Prosegue la Simonini: “Da sempre il corpo è stato territorio di studio, attraversato da processi di ridefinizione identitaria e di rovesciamento dei ruoli sessuali. Il corpo assume molta importanza a causa dei nuovi processi di costruzione fantastica, tra organico e inorganico, con vari trapianti ed incroci; diventa luogo di trasformazione meccanica. II corpo quindi viene usato come mezzo d’espressione artistica, a partire dagli anni sessanta fino ad arrivare agli anni novanta con un dislocamento totale di corporeità; si arriva ad una smaterializzazione della carne che diviene alterazione, trasformazione del sè. Il corpo degli anni novanta è un corpo manipolato, un corpo programmato.”

 


Marceli.li, “Joan L’Hombre De CarneJoan L’Hombre De Carne”. Una figura maschile seduta, costruita in scala 1:1 con pelle di maiale cucita e pelle di mucca. Si muove in sequenze casuali innescate da suoni prodotti dagli spettatori. L’installazione consiste in un computer in grado di rilevare e analizzare le caratteristiche sonore e di inviare il corrispondente segnale elettrico a una serie di motori. Questi motori a loro volta attivano le articolazioni della figura: collo, spalla, gomito e pene.

 

Ma già molto prima, nel Medioevo, si hanno i resoconti di viaggio di esploratori che narrano di figure straordinarie, mostruose, a cavallo tra curiosità, timore e repulsione. Era la costruzione dell’altrui, che doveva aiutare a definire il sé. Ogni differente ci restituisce il nostro essere uguali. “Il mostro ci fa dono della nostra normalità”, scrive Lorenzo Montemagno Ciseri in “Mostri, la storie e le storie”. Un dono ambiguo: rassicurante se ci sentiamo superiori al mostruoso; perturbante se ci sentiamo in difetto.

 

Tuttavia, il mostro medievale (catalogato nei bestiari, antesignani delle esposizioni universali del 1900), ibrido tra umano e animale, alle volte peggiorativo della condizione di entrambi, altre volte migliorativo, è pur sempre naturale. Il presupposto è che simili creature siano sempre esistite, collocate in regioni ai confini geografici (hic sunt leones); fuori dallo spazio, fuori dal tempo, immortali.

 

 

Con l’epoca moderna (e attraverso l’alchimia, l’homunculus, il golem) il passaggio che si verifica è da ibrido-animale ad ibrido-artificiale. Compare (c’è sempre stato, in realtà: ma ora la tecnologia lo ritiene possibile, si può fare, nella pratica, e non solo immaginare) l’automa: le reazioni che gli esseri umani hanno, nei confronti del mostro costruito (costrutto), sono animose; gli umani si attribuiscono un’anima, come punto di superiorità, rispetto al costrutto che, invece, un’anima non ce l’ha. Se il tecnologico lo ritiene possibile, anzi lo realizza, allora la partita per la superiorità si sposta nel sottile e imponderabile, per ritornare ad essere the king of the hill, pur sotto assedio da sembianti troppo simili a noi. L’automa ha le qualità del nuovo uomo industriale, efficacia, precisione, ma una diversa durata: potenzialmente infinita. Se l’essere umano vuole (deve? è costretto?) a diventare una macchina, può farlo; ma solo rinunciando alla sua anima, accettando di diventare una cosa (questo il meccanismo di difesa, inconscio, per dire, per dirci: siamo migliori della macchina, abbiamo un’anima. cfr la serie animata “Galaxy Express 999“).

 


Remo Campopiano, “Three blind mice”, topolino cieco e drone che gli permette di muoversi senza urtare ostacoli, installazione.

 

Oggi il corpo è ossessionato e ossessionante; terra di frontiera da colonizzare (o meno) dalla scienza oppure dai fondamentalismi, al centro dei media in ogni scatto, nella duplice accezione di scatto fotografico e scatto in avanti, in velocità: per arrivare primi alla notizia (e se non c’è un fatto come alibi, costruendo la notizia ad hoc); polo gravitazionale dell’immaginario collettivo, dal porno all’abito da cerimonia alla sua santificazione sportiva. Si affaccia il post-tempo, salta la consecutio temporum; il contemporaneo è saturo, si è sulla soglia di quello che accade continuamente, ma così copiosamente da strabordare in piccoli, ma continui, interventi del futuro sul presente. Questo è il tempo-culla del cyberpunk.

 

“Il cyberpunk dunque, in quanto forma culturale che manipola l’artificiale, che vi si immerge e se ne nutre a pieno ritmo, ha compiuto lo sconfinamento dai ranghi esclusivamente letterari, invadendo ogni possibile forma espressiva, creando una rete di richiami e rimandi, citazioni-plagi-copiature. Il cyberpunk vive da più di dieci anni: da quando uscì il Neuromante di William Gibson. E’ caratterizzato dalla familiarità con l’artificiale. Artificiale, da intendersi in senso letterale di fatto ad arte da un artefice, cioè un creatore, un artista, un autore. Artificiale come sinonimo di meccanico: una macchina non naturale, dunque costruita dall’uomo. Cyberpunk, come segno culturale dei tempi in un’epoca marcata dallo spaesamento, dal relativismo, da una crisi di crescita, non sa offrire altro che ulteriore spaesamento e disancoramento. La familiarità con l’artificiale rimane sempre al centro del vortice, è l’occhio del ciclone.”

 


“Videodrome”, David Cronenberg, 1983.

 

Da qui, l’estetica cyberpunk: bipolare, oppure ambigua; bellezze artefatte o artificiose, nel contenuto e nella forma. Un esempio, banale forse ma luminoso, l’autotune nostro contemporaneo, non percepito come una falsificazione o un difetto di autenticità della voce di molti cantanti rap e trap, ma come strumento, al pari di un volume, una equalizzazione, un fade. Il cyberpunk si muove in una frattura: il piacere non è più solo appannaggio dell’estetico in quanto bello, tantomeno dell’estetico in quanto vero.

 

Domenico Gallo (2021): “Intuizione precocissima di Antonio Caronia è stato il comprendere come il corpo umano potesse diventare, fra gli altri, un nuovo spazio d’infiltrazione dello sfruttamento capitalista, e fra i più estremi. Dalla consapevolezza che era iniziato un processo di riduzione del lavoratore a strumento permanente della produzione, in ogni aspetto della sua vita sociale, e di perdita della stessa autonomia corporea, nasceva la prima ricerca che portava all’individuazione di un nuovo soggetto sociale: il cyborg. A una prima lettura il cyborg è il primo post-operaio, un essere umano il cui corpo viene modificato per essere più idoneo al lavoro, per accorciare i tempi di traduzione delle interfacce, per superare le condizioni avverse delle attività pericolose, insomma per dare una svolta radicale alle istanze di miglioramento delle condizioni di lavoro e reprimerle, negare le istanze di autonomia e rifiuto del lavoro. Se esci dalla fabbrica, sembrava dire la fantascienza degli anni ’70, allora la fabbrica ti inseguirà fino a riavvolgerti. Caronia aveva individuato i primi cyborg come soggetto politico nel 1976, quando aveva letto un autore come Cordwainer Smith e ne aveva parlato su Bandiera Rossa. Pensava, all’inizio della sua ricerca, a una sorta di mimetismo che la fantascienza fosse in grado di mettere in campo, e anche a un suo impegno politico e sociale, soprattutto nello slogan la fantascienza è morta o forse che dovesse morire, nel senso di contestare un rimando al futuro per riportare a quel qui e ora politico del Movimento, ma soprattutto della rottura dei confini che la fantascienza imponeva a se stessa.”

 


Marta De Menezes, “Anti-Marta”. Il sistema immunitario può essere visto come un sesto senso che identifica e discrimina la nostra composizione e il mondo esterno. In “Anti-Marta” un trapianto di pelle è stato scambiato tra Marta e Luís. “Anti-Marta” può essere visto come un patto, in cui l’inevitabile rifiuto del trapianto contrasta con l’acquisizione per tutta la vita di una nuova forma di riconoscimento reciproco offerta dall’emergere di anticorpi.

 

Da un lato William Gibson, dall’altro William Burroughs: che non taglia e cuce solo la narrazione, ma anche i corpi, li riassembla, sfida al rappresentabile cinematografico (non a caso, La Cosa di Carpenter). Il Gibson degli ultimi anni rilancia: tecnovirus, nanomacchine, corpi che attraversano muri (cfr. “Attraversare i muri”, titolo dell’autobiografia di Marina Abramovic), corpi costruiti ma vuoti, inanimati, che possono essere momentaneamente abitati da remoto. E Philip Dick, la sua tecnologia omnipervasiva: come affermava Arthur Clarke così evoluta – distante dall’umano – da poter essere scambiata per magia. Tutti i personaggi di Dick, spesso affetti da patologie psichiche, assediati dall’artificialità dei media e dalle droghe sintetiche, cercano uno spazio di libertà nel misticismo oppure nella lotta contro il potere, sempre stratificato, complottistico, “complottato” nel senso a più plot avvolti l’uno dentro l’altro.

 


“Un oscuro scrutare” (A Scanner Darkly) di Richard Linklater, 2006.

 

“Replicabilità, riproducibilità del corpo. Nel cinema, arte dell’immagine e del sogno, il tema del corpo riprodotto, ricostruito, è stato utilizzato piuttosto spesso, sotto forma di robot, androide, automa o replicante. L’automa è un singolo, un unicum, non ha parentele se non col suo creatore. La dimensione della conoscenza dei suoi simili gli è preclusa. I robot, invece, costituiscono una collettività, sono prodotti in serie, come gli oggetti industriali: sono una nuova razza, una nuova specie. Il robot non è più soltanto, come l’automa, il simbolo e l’indicatore di un problema interno all’uomo: comincia ad avere problemi suoi specifici. Se, paradossalmente, non si può parlare di psicologia dell’automa, si può invece parlare di psicologia del robot.”

 

 

Se per McLuhan l’età moderna comporta la separazione gerarchica tra sensi e insediamento, e al vertice di questa scala è collocato il senso della vista, ogni corpo artificiale è insostenibile allo sguardo (cfr. la uncanny valley) perché palesa (oscenamente, cioè ciò che prima era fuori scena) il divario tra apparenza ed essenza, in un costrutto visibilmente umano, nella forma e nell’agire. La tecnica diventa virus: si insinua nell’organico, lo conduce sui terreni cedevoli del definire quanto artificiale e quanto umano sia tollerabile nella ricetta del considerarsi ancora umane.

 

“In Corpi 2.0, la filosofa tedesca Karin Harrasser dedica ampio spazio proprio alle figure degli atleti paraolimpici e prende le mosse, per la sua analisi, da un’impostazione critica tanto rispetto alla posizione di Sloterdijk quanto rispetto alle visioni ottimistiche della tecnica che vedono l’epoca attuale come quella di un corpo 2.0, ossia di una versione tecnicamente potenziata del corpo umano. Il discorso di Harrasser sembra muoversi su due fronti: da un lato, da una prospettiva politica radicalmente anti-abilista, prende le distanze dalla concezione della disabilità come mancanza o deficit che presuppone, e a sua volta incessantemente istituisce, un confine facilmente tracciabile tra corpo abile e corpo disabile; dall’altro, sottolinea la necessità di guardare con occhio critico alle trasformazioni protesiche del corpo all’interno del contesto biopolitico neoliberale, considerandole anche come prodotto di una logica neocapitalista, qui intesa come una delle principali responsabili delle ingiunzioni all’auto-ottimizzazione.” (prosegui qui la lettura, su Operavivamagazine)

 

 

Oggi il corpo è percepito sempre meno come qualcosa di “naturale”: tutto è artificiale, inventato, frutto di stratificazioni culturali oppure manipolabile tecnologicamente; quindi il corpo si può, si deve cambiare: come imperativo etico, con le medicine, la prevenzione sanitaria (che produce generazioni sempre più forti, alte, longeve, sane); poi gli interventi chirurgici, “e qui si ha la svolta … prima quelli indispensabili, ed anche drammatici, salvavita, poi quelli sempre più accessori, quasi voluttuari. Ed ancora, le manipolazioni genetiche, per correggere ed eliminare difetti e malformazioni: anche qui, dapprima solo i caratteri dannosi e mortali, poi la possibilità, sempre più realistica, di mutare anche gli aspetti esteriori. Nell’elenco ci vanno anche i cloni, gli animali e le piante transgeniche, tutte le possibili variazioni tecnomediche sul tema concepimento e gravidanza. Il corpo è sempre più visto come uno strumento, e come tale modificabile a piacimento fin nei suoi aspetti più marginali e semplicemente esteriori. Il fatto è che la concezione del corpo come strumento e la familiarità con l’artificiale, sfociano molto presto nell’abbattimento dei confini tra organico e inorganico: il corpo come ricettacolo di pezzi estranei, clonati o trapiantati o costruiti. Il corpo bionico, il cyborg, carico di gadget e optional elettronici e meccanici, di prese, di spine, di interfacce, di interruttori, come i cybercowboy gibsoniani. Nel nostro mondo vanno a braccetto i mass media interattivi, il cyberspazio e la realtà virtuale (e dunque l’esaltazione della vista e dell’udito, sensi logici e freddi), insieme con esperimenti e giochi chirurgici col corpo.”

 


Stelarc, “Fractal flesh”: Il progetto è quello della dimensione satellitaria. L’azione consiste nella possibilità di interazione multipla via internet. Il corpo di Stelarc è realmente a Lussemburgo, riceve i comandi da Parigi e tramite dei sensori vengono attivati movimenti involontari del suo corpo insieme ad una serie di campionamenti sonori, prodotti sia dalle macchine che dal corpo stesso. L’insieme di questi gesti articola la performance indotta che, ripresa dalle telecamere poste a Lussemburgo, viene ricostruita e stampata fotograficamente: ad Amsterdam, Amburgo, Helsinky, Vienna Toronto ecc. , semplicemente collegandosi in rete gli utenti di internet possono seguire la performance telematica.

 

Stelarc sostiene: “Io non voglio che gli individui siano costretti a riprogettare il proprio corpo, sto solo esplorando delle vie attraverso le quali chi lo vuole possa farlo. E potrebbero volerlo fare perché il corpo è diventato sempre più obsoleto nell’ambiente ad alta densità di informazione che l’uomo stesso ha creato. Nessuno può sperare di assorbire e processare in modo creativo tutta questa informazione. La tecnologia, con tutte queste macchine che sono più precise e potenti del corpo, lo ha accelerato: il corpo vive ormai in condizioni di gravità zero, o di velocità di fuga da un pianeta. Per questo ritengo che esso sia biologicamente inadeguato. L’approccio ergonomico non ha più senso. Non si può continuare a progettare una tecnologia per il corpo quando la tecnologia usurpa e surclassa il corpo in continuazione. E’ ora invece di adeguare il corpo alla macchina, di dargli un’accelerata. Nella connessione alle reti cyber, per esempio, siamo ancora limitati dalle tastiere, e altri dispositivi del genere. Il collegamento diretto al cervello non è solo una fantasia fantascientifica, è già un’esigenza reale.”

 

In una delle sue performance, Jana Sterbak si presenta completamente nuda, con della polvere da sparo in testa che si infiamma e spegnendosi lascia una lingua di fuoco. Ancora dopo, Jana cede alla macchina le performance successive, in quanto la carne è stata cannibalizzata. Lo fa appunto con Telecommande, è una sorta dì robot-machine visionario e sospesa nel tempo da una gabbia all’interno della quale il corpo femminile viene sospeso. La struttura metallica è montata su due motorini telecomandati a distanza, il corpo femminile viene incastrato ed imprigionato non potendo né toccare il suolo, né controllando i propri movimenti tranne che con l’aiuto del telecomando. Sembra il meccanismo perfetto che libera dalla fatica fisica, rappresenta l’ esplosione del corpo in macchina. Fino a quando il corpo contenuto all’interno del meccanismo si auto-comanda l’incontro tra carne e tecnologia é perfetto; nel momento in cui il telecomando viene azionato dall’esterno la donna perde il potere di autocontrollo. Il corpo é prigioniero di se stesso, diviene luogo di confinamento come nella performance Sysiphe.

 


Tematica affrontata dalla Sterbak è la transessualità come mutamento mentale e corporeo. Chemise de Nuit è l’esempio di questo interesse verso le tematiche legate al Gender: una camicia da notte femminile, che mette in risalto una peluria sul petto, al contrario, tipicamente maschile.

 

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30.161 persone hanno visto le foto… di luoghi che non esistono (letterari o cinematografici), inseriti hackerando GoogleMaps, come se ci fossero realmente.

 

 

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Altri percorsi.

 

Eleonora Danese
Intervista Philippe Petit, 2014.

Il 7 agosto 1974 il funambolo francese Philippe Petit compì la sua impresa più famosa e spettacolare: attraversare gli oltre 60 metri che dividevano le Torri Gemelle di New York camminando su un cavo sospeso a più di 400 metri di altezza. Petit aveva iniziato a pensare a questa attraversata a diciassette anni nella sala d’attesa di un dentista, quando vide su una rivista il progetto di costruzione delle torri. Alla fine del 1973, Petit si recò a New York e iniziò a preparare l’impresa in ogni dettaglio, con uno speciale allenamento, sopralluoghi, attrezzature e cavi appositi, servendosi di falsi documenti e travestimenti per ingannare le guardie. Alle 7.15 del mattino del 7 agosto 1974 infine, Petit salì sul tetto di una delle torri e fece avanti e indietro per otto volte sul cavo di acciaio, vestito di nero e con un’asta per tenersi in equilibrio: camminò, si sdraiò sul filo, si inginocchiò e salutò gli spettatori-osservatori che nel frattempo avevano preso a osservarlo e applaudirlo. Una volta sceso, venne arrestato dalla polizia, ma visto il successo e la copertura mediatica dell’impresa, il procuratore distrettuale di New York fece cadere tutte le accuse, condannandolo semplicemente ad esibirsi per i bambini a Central Park.

ED Tutta la tua vita ha ruotato intorno alla creatività e di essa si compone. Ci sono molte occasioni nelle quali creatività e logica tendono a scontrarsi e – per quanto ne so – nella maggior parte dei casi è più probabile che vinca la logica, dal momento che cercano continuamente di insegnarci che è quella la chiave per far funzionare le cose. La tua storia, però, potrebbe dimostrare che questo non è sempre vero. Hai ma sentito la pressione della logica in quel che hai fatto?

PP È vero, spesso logica e creatività rischiano di collidere e quando questo accade bisogna fare una scelta. Io, però, ho sempre cercato di tirarmi fuori da questa sorta di contesa. Perciò sì, come tutti sento la pressione della logica, ma nel momento in cui decido di ribellarmi al suo peso – e al peso di tutte le costrizioni che tentano di impormi – questa cessa di essere un problema per me.

 

 

ED Hai chiuso il tuo discorso TED lanciando un invito a volare sul mondo, guardandolo da una prospettiva diversa, e, cito, «quando vedete le montagne, ricordate: le montagne si possono spostare». Potrebbe davvero funzionare per chiunque? E se avessimo tutti quest’opportunità, come potremmo realmente essere salvati dalla creatività? C’è qualche ingrediente misterioso di cui abbiamo bisogno per utilizzare la tua formula magica?

PP Per quanto riguarda la prima domanda, direi assolutamente di sì. Certo, è necessario definire le montagne. Per me si è trattato, quell’unica volta nella mia vita, di mettere tra le due torri più alte del mondo un cavo d’acciaio – e di farlo illegalmente. Per qualcun altro, ad esempio, riprendere a camminare senza stampelle dopo un brutto incidente alla gamba, ecco, quella potrebbe essere una grande vittoria. Se si capisce subito quali sono i propri obiettivi e si procede per gradi, affrontando prima gli ostacoli più piccoli, allora ci si può rendere conto che davvero si possono spostare montagne enormi. E la creatività è un’invenzione umana, è respirare, è vivere, il problema sta solo nel fatto che le persone il più delle volte si dimenticano di creare. Quindi, sì, possiamo essere tutti salvati dalla creatività – anche se in questi termini suona un po’ come se parlassimo di una religione. Senza creatività non c’è vita! Sarebbe bello ricordare alle persone, partendo dai bambini nelle scuole, che è ciò che siamo e che se vogliono godersi la vita devono renderla così come la desiderano, inventando il proprio destino ogni giorno. E sì, sicuramente ci sono degli ingredienti segreti, dal momento che è molto difficile capire cosa significhi “creatività”. Eppure, per quanto sia un concetto complicato e fragile, credo che chiunque si possa accorgere facilmente se viva trascinando i piedi, con la schiena curva, o se si svegli ogni mattina con l’idea di poter fare qualunque cosa tra le più incredibili e insolite – ovviamente, per me è questo l’unico modo di vivere.

ED Questa è una curiosità personale. Quando sei lassù a camminare tra le nuvole e i sogni, com’è la musica? Certo, non penso che porti con te qualche aggeggio, ma immagino anche che il cielo non sia sempre così silenzioso – al di là di tutti i rumori naturali che sono intorno. Vorrei sapere se c’è qualche tipo di musica, qualche melodia che hai nelle orecchie quando cammini lassù.

PP È la prima volta in tutta la mia vita che mi fanno questa domanda. Beh, non sono un musicista, ma amo la musica: è il mio motore, mi spinge a fare qualsiasi cosa. Quando mi esercito sul filo, almeno tre ore al giorno, metto sempre un pot-pourri di suoni vecchi e nuovi da diverse parti del mondo. Durante le mie performance ci deve sempre, sempre essere della musica. Ci sono volte in cui addirittura dirigo io stesso dal filo. E quando non è così, ho comunque della musica in testa o – come giustamente hai detto tu – forse è nel cielo: potrebbe essere il suono del silenzio o quello della natura. In ogni caso è ciò che mi dà forza.

ED Non posso fare a meno di vederti come un cantastorie – l’unica cosa che ti manca forse è uno strumento che accompagni le tue parole. Credo che tu abbia immaginato più volte di arrivare un giorno ad avere un’infinità di cose da raccontare alle persone. Ti ha mai incoraggiato questo pensiero? O hai sempre vissuto solo il momento presente? E ti capita mai di sentirti come una sorta di Omero dei nostri giorni, un poeta cieco la cui cecità gli ha aperto le porte di mondi fantastici che non tutti possono vedere?

PP Per quanto riguarda il poter raccontare quel che facevo, beh, sì, ci ho pensato, ma non mi ha mosso direttamente. Certo, raccontare [il vero e proprio storytelling, ndr] è un’attività umana molto antica. Persino nella preistoria i nostri antenati si riunivano attorno al fuoco e mimavano le scene di caccia che avevano vissuto. Trovo che sia qualcosa di meraviglioso, perché ci permette allo stesso tempo di immaginare e sognare ed entrambe sono forme di creazione. Adoro raccontare storie, lo faccio continuamente – ho anche partecipato ad alcuni festival a cui venivano persone da tutto il mondo solo per condividere i propri racconti. È un’importante necessità umana, solo che spesso ce ne si dimentica. E rispetto alla cecità, in un certo senso ne ho fatto qualcosa di utile. Ovviamente, non auguro a nessuno di perdere uno dei propri sensi, ma alterarli può diventare un esercizio molto utile. Quando ci si priva momentaneamente di uno di essi, come la vista, tutti gli altri si rafforzano al punto da poter coprire l’assenza. Fare questo esercizio pratico mi ha portato a quella cecità in senso lato che, sì, mi guida attraverso esperienze che altrimenti non potrei avere.

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Anna Momigliano.
Il voyeurismo, certo; l’etica e l’estetica.
Però anche il nostro rapporto con paura e speranza.
Rivista Studio, 2017.

“L’11 settembre del 2001, 2996 uomini e donne hanno perso la vita nelle Torri Gemelle: alcuni erano poliziotti, vigili, pompieri e volontari accorsi lì per prestare soccorso, però la stragrande maggioranza delle vittime erano persone che, al momento dell’impatto dei due aerei, si trovavano all’interno dei grattacieli per lavoro o per altre ragioni. Di queste, secondo una stima di Usa Today, duecento sono morte tentando la fuga negli ascensori e almeno altrettante saltando dalle finestre. Le storie collettive e individuali dei “jumper”, come li chiamano i media, e delle immagini che li ritraevano hanno segnato profondamente le coscienze degli americani. È stata la vista di quegli uomini e quelle donne che si gettavano nel vuoto a spingere il sindaco Giuliani ad esclamare «siamo in un territorio inesplorato» e a portare testimoni oculari a dichiarare di avere vissuto la scena «come fosse un film»: la realtà era diventata così orribile che «per essere sostenuta doveva essere percepita come uno spettro o un incubo», come nota Zizek.”

 

 

“Le prime immagini dei “jumper” furono mostrate in diretta dalla Cnn, che stava riprendendo in tempo reale la caduta delle torri; tuttavia la rete decise di censurarle in tutte le messe in onda successive. A posteriori, però, l’immagine più celebre è una fotografia scattata da Richard Drew per l’Associated Press e ribattezzata “The Falling Man”: inizialmente pubblicata a pagina 7 del New York Times il giorno dopo l’attentato, quell’immagine avrebbe ispirato un infinito dibattito mediatico, sia sull’opportunità di pubblicarla sia sull’identità del soggetto. Quella fotografia avrebbe ispirato il romanzo omonimo di Don DeLillo, pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo L’uomo che cade, e una scultura di Eric Fischl, “Tumbling Woman”: la galleria newyorkese che mise in esposizione l’opera nel 2002 fu costretta a cancellarla perché, a solo un anno dall’attentato, il pubblico la considerava offensiva nei confronti delle vittime. ”

Prosegui qui la lettura.

 

Roberto Saviano
Dalla lezione su Cosimo Di Lauro
La simbologia dell’omicidio di camorra.

“Sebbene il suo volto non rivelasse più i suoi connotati, il suo corpo rivelava chiaramente il motivo per cui era stato ucciso. Gli avevano tagliato l’orecchio con cui aveva sentito, cavato gli occhi con cui aveva visto, tagliato la lingua con cui aveva parlato, spezzato i polsi con cui aveva mosso le mani per ricevere soldi, e infine gli avevano sigillato le labbra con una croce, chiuse per sempre. Il corpo di quell’uomo rivelava che era stato punito per aver parlato e ricevuto dei soldi.

 

Ludwig Wittgentestin
da “Della certezza”, 1969.

“1. Se sai che qui c’è una mano allora ti concediamo tutto il resto. […] 4. Io so di essere un uomo. Per vedere quanto poco chiaro sia il senso di questa proposizione, considera la sua negazione. Al massimo la si potrebbe ancora concepire così: io so di avere gli organi interni propri di un essere umano. Per esempio, un cervello, che tuttavia non ho mai visto. Ma che dire di una proposizione come: io so di avere un cervello? Posso dubitarne? Per dubitare mi mancano le ragioni. Tutto parla in favore di ciò; e nulla parla contro. Tuttavia si può immaginare che mi facciano un’operazione e si trovi che la mia scatola cranica è vuota. […] 257. Se un tizio mi dicesse che dubita di avere un corpo, lo riterrei mezzo pazzo. Però, non saprei che cosa voglia dire: convincerlo che ha un corpo. E se gli avessi detto qualcosa, e se quello che gli ho detto avesse tolto di mezzo il suo dubbio, io non saprei come e perché l’ho fatto.”

 

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Ex-voto.


Ex voto presso il santuario di San Cosimo e Damiano a Oria.

 

da “I miracoli della Val Morel”
Dino Buzzati

“Questi miei quadri, non sono che immaginari ex-voto per miracoli attribuiti a Santa Rita da Cascia e finora inediti. Ecco come ne sono venuto a conoscenza. Tra i fascicoli della biblioteca paterna dedicata in gran parte alla storia bellunese e gravemente falcidiata durante la prima guerra mondiale – essa venne, come preda bellica, trasportata dagli austriaci da Belluno a Vienna, ma già aveva subito una serie di inconsulti quanto bestiali saccheggi per il solo gusto di distruggere e bruciare – trovai, molti anni or sono, un curioso quadernetto di circa quaranta pagine, un terzo delle quali ricoperto da fitte annotazioni in una scrittura evidentemente incolta, tremula, quasi infantile, nello stesso tempo assai meticolosa. Sul frontespizio stava scritto esattamente:

Prodigiosi miracoli di Santa Rita
onorati nel Santuario di Val Morel
in quel di Belluno.

Dopodiché, all’interno, era registrata, in un linguaggio candido, sgrammaticato e intensamente dialettale, una lunga serie di favolosi interventi di Santa Rita che andavano dal secolo sedicesimo al principio del novecento. Si trattava per lo più di formulazioni laconiche, alcune delle quali ho riportato pari pari nelle mie immagini. In altri casi il fatto era narrato in termini strani e vaghi, talora difficilmente comprensibile.”

 

1872. Roberta Klossowsky, scampata a un formicone, per grazia ricevuta.
1930, Bice Gibardin, sottratta a un infame attentato.
1900, Santa Rita estrae piccoli diavoli dalla signora Caldari Rosa.
10 febbraio 1892, Scognamiglio Assuntina, fatta schiava dai mori, liberata per intercessione della santa patrona.

 

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Scaricabili qui, in Creative Commons,
i sei numeri della rivista Flesh Art
(poi Flesh Out, dopo la sentenza del tribunale
in seguito alla causa della rivista Flash Art).

Flesh art 1

Flesh art 2

Flesh out 3

Flesh out 4

Flesh out 5

Flesh out 6

 

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Performance.

 

Incontri digitali, 2017.

La performance prevede la pubblicazione su un sito per incontri di un falso annuncio, che reclamizza robot dalle fattezze femminili, dotate di intelligenza artificiale. Nonostante la policy del sito vieti annunci contenenti riferimenti a prestazioni sessuali a pagamento e la pubblicazione di immagini a carattere pornografico contenenti organi genitali in vista, è di fatto usato dalle escort per contattare i clienti. La performance pone l’attenzione sulle questioni del corpo come oggetto e come merce, del corpo post-organico e del mondo digitale che spesso sfugge alle norme legislative del paese da cui si connettono gli utenti.

 

Le lettere mai scritte mi restano nelle braccia.
Corpo, fascette di plastica, carta.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2022.

 

Perché pensi questo di me?
Corpo, spinte.
Selezione di immagini da video.
Performance, 2021.

 

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7 risposte a “Il corpo post-organico.”

  1. […] Il corpo post-organico. “Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto. (William Gibson, Neuromante). Scrive Sara Simonini (su EduEDA – EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, 2012): Una problematica centrale oggi giorno è quella del corpo. Si sente parlare molto del corpo e se ne sentirà parlare ancora di più… [prosegue]” […]

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  2. […] 500.000 a.C. – Il corpo archiviato. 10.000 a.C. – Il corpo intraspecifico. 3150 a.C. – Il corpo svuotato. 2900 a.C. – Il corpo crocicchio. 2000 a.C. – Il corpo coreografico. 1425 a.C. – Il corpo ibridato. 1180 a.C. – Il corpo bicamerale. 400 a.C. – Il corpo narrato. 216 d.C. – Il corpo finestra. 476 d.C. – Il corpo diviso. 500 d.C. – Il corpo laboratorio. 1300 d.C. – Il corpo appestato. 1348 d.C. – Il corpo macabro. 16mo sec d.C. – Il corpo disneyano. 1767 d.C. – Il corpo folle. 1793 d.C. – Il corpo decapitato. 1844 d.C. – Il corpo artaudiano. 1865 d.C . – Il corpo divorato. 1982 d.C. – Il corpo cosa. 1895 d.C. – Il corpo indotto. 1900 d.C. – Il corpo automatico. 1900 d.C. – Il corpo pathosformelico. 1914 d.C. – Il corpo tagliato. 1980 d.C. – Il corpo televisivo. 1902 d.C. – Il corpo cinematografato. 1903 d.C. – Il corpo velenoso. 1912 d.C. – Il corpo persona e il corpo creatura. 1929 d.C. – Il corpo testimone. 1938 d.C. – Il corpo disegnato. 1962 d.C. – Il corpo epidermico. 1963 d.C. – Il corpo bruciante. 1969 d.C. – Il corpo inscatolato. 1970 d.C. – Il corpo cittadino. 1972 d.C. – Il corpo senza organi. 1996 d.C – Il corpo scalare. 1999 d.C. – Il corpo nascosto. 2001 d.C. – Il corpo elevato. 2003 d.C. – Il corpo nella caverna. 2003 d.C. – Il corpo profanato. 2005 d.C. – Il corpo ibernato. 2007 d. C. – Il corpo taurino. 2008 d.C. – Il corpo disassemblato. 2009 d.C. – Il corpo condizionale. 2011 d.C. – Il corpo certificato. 2018 d.C. – Il corpo epidermico. 2019 d.C. – Il corpo neurocognitivo. 2019 d.C. – Il corpo conservato. 2010 d.C. – Il corpo doppio. 2020 d.C. – Il corpo donatore. 2021 d.c. – Il corpo filmato. 2023 d.C. – Il corpo volto. 2023 d.C. – Il corpo tradito e tradotto. 2049 d.C. – Il corpo catastrofico. 24mo sec d.C. – Il corpo radiografato. … – Il corpo post-organico. […]

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  3. […] 500.000 a.C. – Il corpo archiviato. 10.000 a.C. – Il corpo intraspecifico. 3150 a.C. – Il corpo svuotato. 2900 a.C. – Il corpo crocicchio. 2000 a.C. – Il corpo coreografico. 1425 a.C. – Il corpo ibridato. 1180 a.C. – Il corpo bicamerale. 400 a.C. – Il corpo narrato. 216 d.C. – Il corpo finestra. 476 d.C. – Il corpo diviso. 500 d.C. – Il corpo laboratorio. 1300 d.C. – Il corpo appestato. 1348 d.C. – Il corpo macabro. 16mo sec d.C. – Il corpo disneyano. 1767 d.C. – Il corpo folle. 1793 d.C. – Il corpo decapitato. 1844 d.C. – Il corpo artaudiano. 1865 d.C . – Il corpo divorato. 1982 d.C. – Il corpo cosa. 1895 d.C. – Il corpo indotto. 1900 d.C. – Il corpo automatico. 1900 d.C. – Il corpo pathosformelico. 1914 d.C. – Il corpo tagliato. 1980 d.C. – Il corpo televisivo. 1902 d.C. – Il corpo cinematografato. 1903 d.C. – Il corpo velenoso. 1912 d.C. – Il corpo persona e il corpo creatura. 1929 d.C. – Il corpo testimone. 1938 d.C. – Il corpo disegnato. 1962 d.C. – Il corpo epidermico. 1963 d.C. – Il corpo bruciante. 1969 d.C. – Il corpo inscatolato. 1970 d.C. – Il corpo cittadino. 1972 d.C. – Il corpo senza organi. 1996 d.C – Il corpo scalare. 1999 d.C. – Il corpo nascosto. 2001 d.C. – Il corpo elevato. 2003 d.C. – Il corpo nella caverna. 2003 d.C. – Il corpo profanato. 2005 d.C. – Il corpo ibernato. 2007 d. C. – Il corpo taurino. 2008 d.C. – Il corpo disassemblato. 2009 d.C. – Il corpo condizionale. 2011 d.C. – Il corpo certificato. 2018 d.C. – Il corpo epidermico. 2019 d.C. – Il corpo neurocognitivo. 2019 d.C. – Il corpo conservato. 2010 d.C. – Il corpo doppio. 2020 d.C. – Il corpo donatore. 2021 d.c. – Il corpo filmato. 2023 d.C. – Il corpo volto. 2023 d.C. – Il corpo tradito e tradotto. 2049 d.C. – Il corpo catastrofico. 24mo sec d.C. – Il corpo radiografato. … – Il corpo post-organico. […]

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  4. […] corpo post/organico Marta De Menezes Jana […]

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  5. […] Il corpo post-organico Scrive Sara Simonini (su EduEDA – EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, 2012): “Una problematica centrale oggi giorno è quella del corpo. Si sente parlare molto del corpo e se ne sentirà parlare ancora di più negli anni a venire, perché il corpo è in questione: o scompare tradotto in numeri, numerizzato, divenendo una collezione di molecole elettroniche, oppure sarà rafforzato mediante la sua estensione. Il corpo contemporaneo è un corpo bionico, un misto di tecnologia e biologia.” Prosequi qui la lettura… […]

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